Praticare attività ludico-sportive in orario extra-lavorativo viola il principio di fedeltà nei confronti del datore di lavoro?

Malattia del Lavoratore e Licenziamento - Avvocato BresciaCass. Lav., sent. 19.01.2018, n. 1374

Con la sentenza n. 1374 del 19 gennaio del 2018, la Suprema Corte si interroga sulla legittimità del licenziamento di un dipendete per aver giocato a tennis, sia pure al di fuori dell’orario lavorativo, in un periodo in cui aveva ottenuto dalla società la dispensa da mansioni gravose per essere lo stesso affetto da artopatia.

In particolare, le ragioni poste a fondamento del licenziamento da parte della società Alfa sono state le seguenti:

  1. incompatibilità tra patologia del lavoratore e attività sportiva dallo stesso praticata;
  2. violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte del lavoratore per aver praticato attività idonee aggravare, anche potenzialmente, la malattia;
  3. violazione del lavoratore dell’obbligo di comunicare all’azienda i propri miglioramenti fisici tali da consentire la rassegnazione delle originarie mansioni, ovvero di mansioni equivalenti.

Avverso il licenziamento il dipendente presentava ricorso: sia in primo sia in secondo grado i giudici ordinavano alla società la reintegra nel posto di lavoro del lavoratore licenziato.

La società ricorreva in Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza di appello per violazione della normativa in materia di licenziamento per giusta causa: il ricorso veniva integralmente rigettato.

Il ragionamento posto alla base della decisione della Suprema Corte è coerente con la giurisprudenza radicatasi in merito all’obbligo di fedeltà che lega il dipendente al datore di lavoro.

Invero, costituisce principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale «l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 c.c.[1], dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c.[2], che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro» (così Cass. n. 14176/2009).

In altre parole, la violazione dell’obbligo di fedeltà che legittima l’applicazione della misura disciplinare del licenziamento è ravvisabile soltanto laddove il lavoratore non si astenga dal porre in essere sia i comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c. sia qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (così Cass. n. 6957/2005; Cass. n. 2474/2008; Cass. n. 14176/2009; Cass. n. 3822/2011; conf. Cass. 144/2015).

Nel caso di specie, il ricorso proposto dalla società veniva rigettato in quanto la Suprema Corte non ha ritenuto ravvisabili i succitati principi; in particolare:

  1. la CTU confermava la veridicità della patologia per la quale il lavoratore aveva chiesto ed ottenuto di essere adibito a mansioni meno gravose, nonché l’incompatibilità di tale malattia con le mansioni di bilanciatore anteriormente svolte dal dipendente;
  2. secondo la CTU non emergevano dati concreti tali da quantificare un pregiudizio effettivo od anche solo potenziale alle condizioni di salute del lavoratore derivante dal praticare l’attività ludico-sportiva contestata;

Per tali motivi, la Corte di Legittimità condivideva il ragionamento giuridico operato dalla Corte triestina che, attenendosi alle risultanze della CTU, escludeva la mala fede del lavoratore.

Ecco che, sulla scorta di tali principi, secondo Suprema Corte è legittimo il licenziamento nell’esclusiva ipotesi in cui il lavoratore con il suo comportamento diminuisca la propria capacità produttiva, agevolando una ricaduta nello stato di malattia, rigettava il ricorso non ritenendo integrati tali presupposti.

[1] Art. 2105 cod. civ .Obbligo di fedeltà.
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o di farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
[2] Art. 1175 cod. civ. Comportamento secondo correttezza.
Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza
Art. 1375 cod. civ. Esecuzione di buona fede.
Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
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