Diamanti da investimento: un’interessante pronuncia

Trib. Verona, ord. 20.05.2019

La vicenda della vendita dei c.d. “diamanti da investimento” da parte di Diamond Private Investment S.p.A. e Intermarket Diamond Business S.p.A ha avuto un notevole impatto, con un coinvolgimento di oltre 120 mila piccoli risparmiatori per oltre due miliardi di euro investiti: anche il territorio di Brescia e provincia è stato significativamente coinvolto.

In particolare, tali società venditrici si servivano dell’ausilio dei principali istituti di credito per incoraggiare una determinata fascia di consumatori – da loro ritenuta maggiormente interessata – a mettere al riparo i propri risparmi attraverso l’acquisto di diamanti: questi ultimi venivano presentati come “bene-rifugio” e venduti a prezzi di acquisto determinati direttamente dal proponente spesso ad un valore superiore rispetto a quello di mercato.

Ebbene, la rete bancaria costituiva il principale canale di vendita di diamanti per DPI S.p.A e IDP S.p.A., conferendo affidabilità all’attività descritta in virtù del rapporto di fiducia che i clienti riponevano nella banca.

Grazie al descritto modus operandi le società venditrici si assicuravano sia la credibilità delle loro promozioni sia la vendita dei beni, mentre, l’istituto di credito, il buon esito delle operazioni di investimento.

Tale fattispecie è già stata esaminata sia dall’Acgm nella decisione del 30 ottobre 2017 sia dal Tar Lazio nelle cinque sentenze del 14 novembre 2018: in particolare, il Tribunale amministrativo confermava le sanzioni inflitte dall’Autorità garante per pratiche commerciali scorrette (pari a 12 milioni di euro) nei confronti di DPI S.p.A e IDP S.p.A., nonché nei confronti di alcuni istituti di credito coinvolti, tra i quali Unicredit, Banco Bpm, Banca Monte dei Paschi di Siena.

Nelle more è intervenuto il fallimento della società Intermarket Diamond Businnes S.p.A., per cui, il quadro si è ulteriormente complicato.

Si fa inoltre presente che numerose banche stanno addivenendo ad accordi stragiudiziali con i risparmiatori in possesso dei diamanti.

Nel presente commento non si prendono in esame le azioni percorribili nei confronti del fallimento IDB S.p.A, ma si analizza un caso concreto di tutela giudiziale richiesta anche nei confronti di un istituto di credito coinvolto nelle operazioni descritte.

Con la recentissima ordinanza del 20 maggio 2019 il Tribunale ordinario di Verona ha riconosciuto infatti la responsabilità concorrente della Banca per il danno economico subito dai clienti che hanno acquistato diamanti presso la filiale, condannandola al risarcimento del danno.

Nello specifico, il Giudice veronese è stato chiamato a definire i profili di responsabilità in capo alla società venditrice IDB S.p.A. e dell’istituto intermediario Banco Bpm S.p.A. nei confronti del ricorrente-risparmiatore, per aver sottoscritto un contratto di acquisto di cinque diamanti, proposto dal consulente / referente bancario.

Per quanto riguarda IDB S.p.A. è stato osservato che:

  • le quotazioni dei diamanti pubblicate periodicamente sul Sole24Ore «non erano un parametro tratto da quotazioni di mercato e poi pubblicato a cura di IDB ma erano prezzi, solo in parte riferibili al valore delle pietre, fissati autonomamente dalla stessa IDB secondo le proprie convenienze commerciali»:
  • la natura autoreferenziale e pubblicitaria non era conosciuta né resa conoscibile al risparmiatore: al contrario, «quei dati venivano accreditati di un crisma di ufficialità poiché pubblicati su un giornale economico di primaria importanza»;
  • la rimessione alla sola società venditrice della definizione dei prezzi di vendita dei diamanti le consentiva di fornire una rappresentazione ingannevole («fuorviante») dell’andamento di quello che era presentato come il mercato dei diamanti (non dava conto delle oscillazioni di prezzo oggettivamente registrate dai diversi indici basati sulle rivelazioni di contrattazioni).

Per quanto riguarda la banca è stato osservato che:

  • l’istituto di credito ha svolto una funzione promozionale della vendita dei diamanti;
  • da ciascuna transazione ricavava una consistente provvigione, pari ad una percentuale del 18% dell’ammontare dell’operazione conclusa;
  • in forza dell’accordo di collaborazione con IDB era tenuto a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto dalla società venditrice;
  • l’attività di segnalazione non si limitava all’indicazione ad IDB dei soggetti che di loro iniziativa erano interessati all’acquisto dei diamanti, bensì consisteva nel «sollecitare in loro quell’interesse, proponendo quel tipo di investimento che si sarebbe poi realizzato grazie all’intervento di IDB, con il compito di predisporre la contrattualistica, di consegnare i diamanti e prestare i servizi accessori»;
  • «l’istituto di credito aveva quindi l’obbligo, e non solo l’interesse, a promuovere presso la propria clientela la conclusione dei contratti di compravendita operando come intermediario a favore di IDB».

Per tutto quanto premesso, secondo il Tribunale veronese la fonte di responsabilità anche della banca deve essere individuata nel rapporto tra risparmiatore e istituto di credito, posto che, in virtù delle sue competenze professionali, grava su quest’ultimo un dovere di diligenza sul quale il cliente pone il proprio affidamento.

La negligenza della banca, tuttavia, non può giustificare l’accoglimento delle domande avanzate dal ricorrente, in via principale, di risoluzione e di annullamento del contratto di compravendita: infatti l’istituto di credito, pur avendo contribuito in modo decisivo alla conclusione del contratto, è comunque da considerare soggetto estraneo al rapporto principale di compravendita di diamanti.

Nello specifico, secondo il Tribunale, la fonte normativa della responsabilità della Banca va invece individuata nei seguenti disposti normativi:

  1. 1173 cod. civ.: per la violazione dell’obbligo di informazione e protezione del cliente e della circostanza che la violazione degli obblighi informativi, nella fase precontrattuale, si traduce in responsabilità contrattuale se il contratto si conclude;
  2. 1218 cod. civ.: posto che l’attività di vendita dei diamanti viene ricompresa nel novero delle attività connesse a quella bancaria e che, l’art. 8, co. 3, D.M. del Tesoro del 06/07/1994 espressamente definisce come “attività accessoria che comunque consente di sviluppare l’attività esercitata”;
  3. 2055 cod. civ.: dall’accertata responsabilità della Banca, per violazione dei doveri di protezione precontrattuali, discende l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni anche nei suoi confronti, come conseguenza dell’acquisto dei diamanti: così statuendo il Tribunale si è conformato alla recente pronuncia della Corte di Cassazione del gennaio 2019.[1]

In conclusione, il Tribunale di Verona, con la predetta ordinanza, condanna l’istituto di credito ex art. 2055 cod. civ. per aver concorso alla causazione del danno subito dal risparmiatore, dichiarando invece estinto il rapporto processuale tra il ricorrente e IDB S.p.A e quello tra la banca e IDB S.p.A., tenuto conto del fallimento di quest’ultima. La quantificazione di tale danno viene operata considerata la differenza di valore dei diamanti fra il prezzo corrisposto per l’acquisto e il valore accertato nel corso di causa.

Lo Studio Legale dell’Avvocato Pedretti è disponibile a fornire i chiarimenti necessari a tutti coloro che sono stati coinvolti in tale vicenda, con l’avvio delle necessarie iniziative stragiudiziali, laddove opportune, e valutazione dei benefici e dei rischi inerenti all’avvio del vero e proprio contenzioso giudiziale, in caso di impossibilità di definizione bonaria delle vertenze.

[1] Cass. n. 1070 / 2019 «Per la responsabilità solidale dei danneggianti, l’art. 2055 comma 1 c.c., richiede solo che il fatto dannoso imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone ed anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate».
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