Principi generali e applicazioni giurisprudenziali

A seguito della fondamentale sentenza pronunciata dalla Suprema Corte nel 1999 (Cass., sent. n. 589/1999), ormai è da ritenersi pacifica la natura contrattuale della responsabilità medica: in particolare la responsabilità della struttura ospedaliera si fonda sul contatto sociale che si instaura tra il paziente e la struttura medesima attraverso il cosiddetto contratto di spedalità. In tale contesto vengono, dunque, in rilievo le previsioni di cui agli artt. 1176 cod. civ., nella parte in cui incombe al prestatore d’opera, specificamente il personale medico, di tenere una condotta diligente ed appropriata, e 1218 cod. civ., che sanziona l’inadempimento contrattuale con l’obbligo risarcitorio.

Alla luce di ciò, facendo applicazione del principio di cui alla sentenza Cass. Sez. Un. Civ., 30 ottobre 2001, n. 13533, la ripartizione dell’onere probatorio tra paziente e struttura sanitaria comporta che il paziente debba dimostrare il titolo della sua pretesa ed allegare l’inadempimento del sanitario consistente dell’aggravamento della propria situazione patologica o nell’insorgenza di nuove patologie; diversamente la struttura sanitaria (e/o il medico), al fine di andare esente da responsabilità, deve dimostrare l’esatto adempimento del contenuto della prestazione medica.

Più specificatamente, in tema di ripartizione dell’onere probatorio, è onere del paziente danneggiato:

1) provare il contratto (o il contatto sociale) con la struttura sanitaria pubblica o privata e/o con il medico;

2) provare il danno patito;

3) allegare l’inadempimento della struttura medica o del medico, per aver posto in essere una condotta imperita o negligente;

4) allegare che sussiste un nesso causale tra il danno patito e l’inadempimento della struttura medica o del medico.

È invece onere della struttura medica e/o del medico:

1) provare che non vi è stato l’inadempimento e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile;

2) provare che, pur essendovi stata una condotta inadempiente, essa non è stata causa del danno lamentato e che quindi non sussiste nesso causale tra condotta del debitore e pregiudizio del creditore.

Nella maggior numero delle ipotesi fattuali, il paziente danneggiato proverà il pregiudizio subito mediante l’allegazione in giudizio di una perizia medico – legale di parte in grado di accertare e collegare l’inadempimento della struttura sanitaria alla produzione del danno lamentato (così Cass., Sez. Un. Civ., 11 gennaio 2008, n. 577).

Alla luce di quanto sopra la struttura sanitaria, come si diceva supra, al fine di andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare la correttezza, secondo la miglior scienza ed esperienza, del trattamento sanitario erogato.

Il nesso causale tra condotta ed evento si identificherà nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio del “più che probabile che non”. In tale contesto la responsabilità civile è da tenersi ben distinta da eventuali profili penalistici della condotta del medico danneggiante: in particolare l’art. 3, co. I, del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, conv. in L. 8 novembre 2012, n. 189 ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, laddove chi esercita l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. E’ peraltro pacifico come l’esimente penale non elida l’illecito civile, soprattutto quando ad essere tutelato è un diritto umano inviolabile quale la salute. La materia della responsabilità civile segue, pertanto, le sue regole consolidate, fra cui la sufficienza del nesso eziologico “più che probabile che non” fra condotta e danno (così Cass., sent. 19.02.2013, n. 4030).

In questo quadro l’aggravamento della situazione patologica del paziente o l’insorgenza di nuove patologie eziologicamente ricollegabili alla prestazione medica implicano, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazione.

Parimenti è stata ritenuto sussistere un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, allorché abbia determinato la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico, che, normalmente, sia da praticare per evitare che l’esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo, prima del suo normale decorso. In tale contesto devono essere risarcite le perdute chances di conservare, durante il decorso della malattia, una migliore qualità della vita nonché la possibilità di vivere anche solo alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti.

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