Stop all’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli

Corte Costituzionale, sent. n. 131/2022: dichiarate illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre al figlio.

cognome genitori

Per meglio comprendere il nuovo principio affermato dalla Corte Costituzionale relativo all’illegittimità dell’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli, partiamo dall’analisi della disciplina legale del cognome del figlio, ossia dall’esaminare ciò che prevede l’ordinamento sul punto.

Tenuto conto dell’importanza che riveste il nome, la legge si preoccupa di offrirne una compiuta disciplina per il minore, riconoscendo ai genitori la facoltà di scegliere il nome da attribuire al nascituro, ma prescrivendo, secondo un ordine graduale, le modalità attraverso le quali si attribuisce il cognome.

L’automatismo a favore del cognome paterno non è previsto da una norma specifica, bensì è desumibile da una serie di disposizioni:

  • 231, cod. civ., il quale stabilisce che «il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio». Per effetto della presunzione di paternità, di cui all’art. 231, cod. civ., chi nasce, o viene concepito, da donna coniugata si presume, senz’altro, figlio del marito e, in tale ipotesi, il cognome del neonato sarà, quindi, quello del marito della partoriente;
  • 262, cod. civ., così come modificato dall’art. 27 del D. Lgs. 28.12.2013, n, 154., il quale nel primo periodo del primo comma prevede che «il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto»; ciò poiché, nell’ipotesi in cui un figlio sia nato da una coppia non coniugata, è possibile che uno dei due genitori, più frequentemente la madre, riconosca per primo il nascituro, così attribuendo al minore il proprio cognome. Il periodo successivo, invece, disciplina l’ipotesi in cui il riconoscimento del figlio nato al di fuori del matrimonio venga effettuato, contemporaneamente, da entrambi i genitori; in tal caso, il neonato «assume il cognome del padre»;
  • 299, co. 3, cod. civ., il quale prevede che, anche nell’ipotesi di figlio adottivo, qualora l’adozione venga compiuta da coniugi, questi assuma il cognome del marito.

In data 27.04.2022 la Consulta, riunita in Camera di Consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale delle norme suesposte, regolanti, nell’ordinamento interno, l’attribuzione automatica del cognome patronimico ai figli. La Corte dei Giudici si è pronunciata sulla non legittimità delle norme delle stesse, dichiarando incostituzionali tutte le disposizioni che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre ai figli nati nel matrimonio, a quelli nati fuori dal matrimonio e a quelli adottivi.

In Italia è da oltre 40 anni che si discute dell’automatismo del cognome paterno, e non è la prima volta che la Corte Costituzionale si esprime al riguardo, in quanto in passato la stessa aveva già tentato di superare gli automatismi e le rigidità del codice civile.

La Corte delle Leggi, con la sentenza 21.12.2016, n. 286, già era intervenuta sulla questione, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma desumibile da un’interpretazione sistematica del codice civile e di quelle relative all’Ordinamento dello Stato civile, nella parte in cui non consentono ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

Con la storica sentenza in esame, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme degli artt. 237, 262 e 299, cod. civ., laddove le stesse facevano sottintendere l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio, nonché non consentivano  ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione, oltre a quello paterno; risultava quindi illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio, in presenza di una differente volontà dei genitori.

Il Ministero dell’Interno, con la Circolare 19.01.2017, n. 1, aveva reso immediata l’applicazione della sentenza n. 286/2016 della Corte Costituzionale, per cui, in attuazione della pronuncia, sostanzialmente innovativa della disciplina in materia di che trattasi, l’ufficiale dello stato civile avrebbe dovuto accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendessero attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o al momento dell’adozione; tuttavia in seguito non si arrivò mai all’approvazione di una legge, come allora richiesto dalla Corte.

Già in quell’occasione era stato evidenziato il contrasto delle norme con la Carta Fondamentale, rispetto al diritto all’identità personale, all’uguaglianza e alla pari dignità sociale dei genitori nei confronti dello Stato di rispettare gli obblighi internazionali.

Dal 2016, quindi, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, è possibile trasmettere ai figli, al momento della nascita, ovvero dell’adozione, anche il cognome materno, ma solo dopo il cognome del padre. In mancanza di accordo sul doppio cognome, viene trasmesso solo quello del padre, anziché quello di entrambi. Insomma, ai figli viene attribuito in automatico sempre (o per primo) il cognome del padre.

Con questa prima pronuncia, tuttavia, la Corte delle Leggi non ha esaminato il caso dei genitori che volessero attribuire il figlio il solo cognome materno, ipotesi che è invece stata affrontata con la recente sentenza.

La sentenza n. 131/2022 riguarda, invece, sia le norme che impediscono ai genitori, anche se di comune accordo, di attribuire al nascituro il solo cognome della madre, sia quelle che, in assenza di un accordo tra questi, impone l’automatica attribuzione del solo cognome paterno, anziché quello di entrambi i genitori; la Consulta dichiara che tali previsioni siano in evidente contrasto sia con la Carta costituzione e, in particolare con gli articoli 2 (diritti inviolabili dell’uomo), 3 (principio di eguaglianza) e 117 (competenza legislativa), quest’ultimo in relazione alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, in particolare con gli articoli 8 (diritto al rispetto e della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione), i quali risultano tutti posti a tutela del diritto alla vita privata e familiare e del divieto di discriminazioni fondate sul sesso.

I principi che hanno portato la Consulta alla pronuncia di cui si discute sono: il principio di uguaglianza e il principio dell’interesse del figlio, secondo il quale entrambi i genitori devono avere la possibilità di condividere la scelta sul cognome, il quale costituisce un elemento fondamentale dell’identità personale di un individuo; la Corte ha così voluto dar corpo al principio di uguaglianza tra i genitori, considerando «discriminatoria e lesiva per l’identità del figlio» la regola in base alla quale al nascituro venga attribuito di default il solo cognome paterno.

I Giudici della Corte Costituzionale hanno ascoltato i plurimi richiami della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e anticipato il Parlamento, stabilendo l’abolizione delle norme che prevedono l’attribuzione automatica del cognome del padre ai figli, salvo che i genitori non decidano diversamente. Non c’è alcuna imposizione, ma solo l’affermazione di un principio; ora sarà il legislatore a dover muoversi, nel rispetto di quanto affermato nella decisione, e a dover normare tutti gli aspetti che disciplinato l’attribuzione del cognome al nascituro.

La sentenza della Corte di Legittimità, dichiarando illegittime le norme che regolano l’attribuzione del cognome paterno in automatico, stabilisce che d’ora in poi il figlio assumerà il  cognome di entrambi i genitori nell’ordine concordato dagli stessi, salvo che decidano, sempre di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due, Quando non c’è accordo tra i due genitori, allora sarà il giudice a prendere la decisione.

Con tale pronuncia si è finalmente ottenuto il superamento patriarcale della famiglia di un retaggio storico non più in linea con la società moderna, segnando la fine del maschilismo e del paternalismo nel diritto di famiglia.

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