L’irriducibilità della retribuzione e l’assorbibilità del superminimo

retribuzione

Il diritto del lavoro italiano è improntato ai principi d’irriducibilità della retribuzione e di assorbibilità del superminimo: il primo tutela il lavoratore da riduzioni unilaterali dello stipendio, il secondo permette al datore di lavoro di compensare aumenti contrattuali con il superminimo, mantenendo invariata la retribuzione complessiva. 

La retribuzione 

Ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, il lavoratore ha “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Il contratto di lavoro è quindi per sua natura oneroso e la determinazione della “giusta retribuzione” deve avvenire nel rispetto dei principi di proporzionalità e di sufficienza. 

Emerge quindi come il rapporto di lavoro subordinato sia connotato dai principi di onerosità e corrispettività: infatti, il rapporto sinallagmatico di scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione rappresenta uno dei pilastri del contratto di lavoro subordinato (art. 2094 cod. civ.). La retribuzione rappresenta dunque la prestazione fondamentale del datore di lavoro a fronte dell’attività eseguita dal lavoratore, prestazione consistente in una dazione di carattere patrimoniale. 

Il principio di onnicomprensività 

In passato la giurisprudenza aveva elaborato una nozione omnicomprensiva della retribuzione, adottando una concezione unitaria comprensiva di ogni emolumento ricevuto dal lavoratore in modo continuativo quale controprestazione per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Quale diretta conseguenza dell’adozione di tale nozione, la retribuzione così intesa doveva costituire la normale base di calcolo delle singole componenti del trattamento retributivo (ad esempio, ferie e festività, trattamento di malattia, trattamento di fine rapporto).  

Tale tesi è stata fortemente critica dalla dottrina maggioritaria, indi per cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto infondata la tesi dell’onnicomprensività della retribuzione, concludendo invece che le voci di cui si compone la retribuzione e i loro criteri di calcolo sono rimessi alla determinazione della fonte legale o contrattuale che di volta in volta disciplina il singolo istituto retributivo o la singola voce del trattamento economico (Cass. SS.UU., sent. mm. 1069, 1071, 1073, 1075, 1081 del 13.02.1984). Indi per cui, in assenza di specifiche norme di legge o disposizioni nel contratto collettivo, una determinata voce retributiva non può essere inclusa nella base di calcolo per istituti indiretti (si pensi, ad esempio, alle mensilità aggiuntive, alle ferie o alla malattia).  

Ad oggi si fa spesso ricorso nella legislazione al concetto di “retribuzione globale di fatto”, da intendersi come comprensiva di tutte le indennità percepite dal lavoratore continuativamente in misura predeterminata, purché non abbiano natura di rimborso spese. Tuttavia, permangono in ogni caso contrasti in ordine ad alcune voci retributive (si pensi alle maggiorazioni per lavoro straordinario o notturno).  

Il principio di irriducibilità della retribuzione 

In forza del principio dell’irriducibilità della retribuzione sancito dall’art. 2103 cod. civ., la retribuzione concordata contrattualmente non può essere rideterminata in peius, nemmeno sulla base di un accordo tra le parti. La modifica in senso peggiorativo della retribuzione complessiva può avvenire solo a fronte di specifiche ragioni legittimanti e, in ogni caso, previo accordo individuale sottoscritto in sede protetta ex art. 2113 cod. civ.: infatti, solo in tali sedi il legislatore consente al lavoratore di rinunciare a tale tutela, a fronte della garanzia della libera determinazione e formazione di una genuina volontà da parte del lavoratore. Tale disposizione risponde all’esigenza di garantire la stabilità economica del dipendente, prevenendo abusi da parte del datore di lavoro.  

I superminimi e il principio di assorbibilità 

Si parla di superminimi con riferimento alla voce della retribuzione che individua un compenso aggiuntivo ed ulteriore rispetto alla retribuzione base determinata alla luce dei minimi tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva. Il superminimo può essere: 

  • individuale, se espressione dell’autonomia negoziale privata: generalmente viene attribuito in via unilaterale dal datore di lavoro e viene implicitamente accettato dal singolo lavoratore; 
  • collettivo, se individuato quale voce retributiva erogata ai lavoratori inquadrati in un determinato livello e/o gruppo in base ad un contratto collettivo. 

Nell’ordinamento giuridico italiano vige il principio dell’assorbibilità del superminimo, in base al quale i superminimi sono generalmente assorbibili dai miglioramenti retributivi previsti in base ai contratti collettivi. Indi per cui tali aumenti retributivi non si sommano al superminimo, ma lo assorbono e quindi lo riducono in tutto o in parte: indi per cui l’aumento contrattuale sarà compensato dal superminimo senza intaccare il totale percepito, con ciò evitando la duplicazione di vantaggi. Tuttavia, la giurisprudenza ha individuato delle ipotesi in presenza delle quali non si verifica l’assorbimento: 

  • qualora la non assorbibilità del superminimo sia stata concordata dalle parti in una clausola espressa del contratto individuale di lavoro; 
  • a fronte di un comportamento concludente del datore di lavoro, che abbia continuato a corrispondere il superminimo cumulandolo al miglioramento retributivo pur in assenza di una specifica previsione; 
  • a fronte di un’espressa previsione nel contratto collettivo applicabile; 
  • nell’ipotesi in cui il superminimo sia stato attribuito espressamente quale compenso speciale a fronte di particolari meriti, speciali qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente.  

In tali ipotesi eccezionali, il superminimo non può essere ridotto e viene invece cumulato con i miglioramenti retributivi derivanti dal rinnovo del contratto collettivo e/o con la variazione del livello di inquadramento. Tuttavia, è onere del lavoratore dimostrare il titolo che legittima il mantenimento del superminimo.  

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Dott.ssa Chiara Fucina 

 

 

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