Il diritto del lavoratore ai buoni pasto

avvocato brescia

Tra i fringe benefits che il datore di lavoro può corrispondere al lavoratore, vi sono i buoni pasto: in giurisprudenza e in dottrina vi sono orientamenti contrastanti in merito alla natura e all’utilizzo di tale agevolazione. Con recente pronuncia il Tribunale di Roma è intervenuto sul tema, esaminando le varie implicazioni dell’istituto.   

Prestazione lavorativa e fringe benefits: i buoni pasto 

Il diritto alla retribuzione rappresenta per il lavoratore la controprestazione a fronte dello svolgimento della prestazione lavorativa. Ai sensi dell’art. 2099 cod. civ., la retribuzione dovuta è rappresentata di norma da un’erogazione patrimoniale, ma può consistere anche – in tutto o in parte – in prestazioni in natura, ovvero in beni di uso o consumo che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore. Tra le prestazioni in natura più diffuse vi sono la concessione dell’alloggio, l’erogazione di viveri, la predisposizione di un servizio mensa e/o l’erogazione di buoni pasto. 

Specificatamente, il datore di lavoro può scegliere di organizzare la somministrazione dei pasti ai propri dipendenti, optando alternativamente per: 

  • l’organizzazione di un servizio mensa aziendale ad hoc o l’adesione ad una mensa extra-aziendale, 
  • l’erogazione in busta paga di un’indennità sostitutiva di mensa la consegna di buoni pasto 

In particolare, i buoni pasto rappresentano titoli di pagamento sostitutivi del denaro dal valore predeterminato, in formato cartaceo o elettronico, destinati a sostituire il servizio di mensa aziendale, dando al loro possessore il diritto di ottenere la somministrazione e/o la cessione di generi alimentari di pronto consumo presso esercizi convenzionati con la società di emissione 

Inoltre, si rileva che i buoni pasto hanno validità annuale e non possono essere ceduti, commercializzati o cumulati oltre il limite di 8 buoni, ovvero convertiti in denaro, potendo essere utilizzati esclusivamente dal titolare per l’intero valore del titolo (non potendo quindi essere oggetto di frazionamento). Si tratta peraltro di uno strumento defiscalizzato: infatti, i buoni pasto in formato elettronico sono detassati fino ad un massimo di 8 euro al giorno e fino a 4 euro per quelli in formato cartaceo.  

        1. Le condizioni per l’erogazione 

L’erogazione del buono pasto risponde alla finalità di agevolare le esigenze di servizio del lavoro con le esigenze quotidiane del lavoratore, sicché è strettamente connessa alla pausa di lavoro in cui avviene la consumazione del pasto da parte del dipendente.  

Non si tratta di un corrispettivo della prestazione lavorativa che deve essere necessariamente previsto da disposizioni del CCNL applicato al rapporto di lavoro ovvero da accordi individuali. Diversamente, l’erogazione di buoni pasto è su base puramente volontaria.    

Generalmente, il diritto ai buoni pasto spetta ai lavoratori che abbiano un orario giornaliero eccedente le sei ore e che, a causa dell’orario di lavoro o dei tempi di percorrenza, non possono consumare i pasti presso la propria abitazione durante la pausa pranzo. Peraltro, in quanto alternativa alla mensa sul lavoro, il lavoratore non ha diritto ai buoni pasto se l’azienda prevede già un servizio di mensa aziendale ed hanno diritto al buono pasto sia i lavoratori subordinati che i lavoratori non subordinati (come, ad esempio, i collaboratori esterni), a patto che tale beneficio sia erogato a tutti i lavoratori o a categorie omogenee all’interno dell’azienda. Sul punto, si rileva che anche non esiste alcuna limitazione per i lavoratori con contratto part-time e che tale diritto non spetta ai lavoratori in cassa integrazione, in malattia, in sciopero o in aspettativa. 

2. La natura del buono pasto: retributiva o assistenziale? 

Molto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza è la questione della qualificazione giuridica dei buoni pasto e, in particolare della natura assistenziale o retributiva di tale strumento.  

Recenti pronunce giurisprudenziali hanno consolidato la tesi della natura assistenziale del buono pasto, escludendo che lo stesso costituisca un elemento della retribuzione ordinaria. Infatti, secondo tale tesi, non si tratta di un corrispettivo obbligatorio della prestazione del lavoratore, in quanto manca l’elemento della corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa: al contrario, sussiste un nesso meramente occasionale tra rapporto di lavoro ed erogazione dei buoni pasto. In tale prospettazione, il buono pasto rappresenta un’agevolazione necessaria al fine di coniugare il lavoro con il benessere psicofisico del lavoratore necessario per proseguire l’attività lavorativa. 

Specificatamente, con l’ordinanza n. 21440 del 31.07.2024 la Corte di Cassazione ha ribadito che “il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore; proprio per la suindicata natura il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono” (principio richiamato da ultimo dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 15235 del 09.10.2024). 

A sostegno di tale tesi, si richiama anche l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, che ha confermato la natura prettamente assistenziale di tale strumento: infatti, i buoni pasto sono oggetto di un’agevolazione fiscale e previdenziale, “ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto” (cfr. Min. Fin. Circolare n. 326/E del 1997, par. 2.2.3). 

Il fatto che tale strumento abbia natura assistenziale e non retributiva, peraltro, ha importanti ricadute sul piano fiscale: infatti, ciò implica che i buoni pasto non sono soggetti a contribuzione previdenziale e fiscale, a condizione che vengano rispettati i limiti di esenzione previsti dalla normativa vigente. Diversamente, dovrebbero essere considerati reddito imponibile a tutti gli annessi effetti fiscali e contributivi. 

3. Diritto ai buoni pasto durante le ferie 

La questione della natura di tale strumento è strettamente connessa al tema, altrettanto dibattuto, del diritto ai buoni pasto durante le ferie. 

Infatti, in base ad una recente ordinanza della Corte di cassazione (ordinanza n. 25840 del 07.09.2024), i buoni pasto vanno erogati anche durante i periodi di riposo. Tale pronuncia ha di fatto sovvertito il precedente orientamento giurisprudenziale consolidato, sottolineando come tale erogazione debba essere garantita anche durante i periodi di riposo in ossequio al principio per cui la retribuzione durante le ferie deve essere equivalente a quella dei giorni lavorativi. Di fatto, quindi, con tale pronuncia la Corte ha adottato l’opposta tesi della natura retributiva dei buoni pasto 

Tuttavia, tale pronuncia rappresenta una decisione isolata, inserita in un contesto in cui la giurisprudenza di legittimità è univoca nell’escludere la natura retributiva dei buoni pasto e nel ritenere tale strumento un’agevolazione di carattere assistenziale.  

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Dott.ssa Chiara Fucina 

 

 

 

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