Buoni Postali Serie Q/P: è terminata la guerra?

buoni postaliCass., ord. nn. 4748 e 4751/2022

A seguito dei contrasti presenti anche nelle diverse Corti d’Appello italiane (per una ricostruzione più completa si rimanda a https://avvocatopedretti.it/buoni-postali-serie-q-p-corte-appello-avvocato/), l’intervento della Suprema Corte di Cassazione, con le ordinanze gemelle qui in esame, parrebbe porre fine al contenzioso che negli ultimi anni ha riguardato i buoni postali fruttiferi emessi dopo il 13 giugno 1986, contrassegnati come serie Q/P.

I giudici di legittimità, infatti, aderendo alla tesi principalmente promossa dalla Corte d’appello di Milano, ritengono di non poter applicare alla fattispecie in esame i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite nella nota pronuncia n. 13979/2007.

In particolare, secondo la Suprema Corte, Poste Italiane si è comportata correttamente, apponendo ai buoni in questione i timbri previsti dall’articolo 5 del D.M. 13.06.1986.

Poco importa, secondo la Suprema Corte, se tali timbri nulla dicano sui tassi di interessi maturati dal ventunesimo al trentesimo anno: “una mera imperfezione dell’operazione materiale di apposizione dei timbri” non va intesa come “manifestazione di volontà concludente” […] “nel caso in questione non si può invocare il principio del legittimo affidamento, come richiamato dalla sentenza delle sezioni unite n. 13979/2007 [,,,] ciò perché l’art. 173 DPR 156/1973, all’epoca vigente, recava una disposizione cogente, con la consequenziale decretazione ministeriale, destinata a sostituirsi a clausole difformi”.

In altre parole, secondo la Suprema Corte, la mera pubblicazione del decreto ministeriale in Gazzetta Ufficiale era di per sé sufficiente a sostituire il tenore letterale del titolo rilasciato al risparmiatore.

Invero, come segnalato da importante dottrina (prof. Aldo Angela Dolmetta: “BFP : sulla serie Q/P”, in Plus24 – Il Sole24ore, 16.04.2022), “l’intervento non convince” e “appare tanto aggressivo quanto confuso: per dire, non avverte che il timbro apposto sul retro lascia del tutto scoperta la clausola originaria sui rendimenti dell’ultimo decennio; dimentica le regole di interpretazione poste dal codice a tutela del contraente (art. 1370 c.c.); non si avvede che il timbro di Poste viola il decreto, che chiede l’espressa indicazione di tutti i rendimenti”.

Alla luce di quanto precede, nonostante l’autorevolezza delle decisioni, la giurisprudenza di merito non si è totalmente adeguata e appiattita alle posizioni espresse dalla Suprema Corte (as esempio Corte di Appello di Firenze, sent. 696/2022; Corte di Appello di Napoli, 29.07.2022, n. 3580; Tribunale di Trapani, n. 469/2022 del 17.05.2022; Tribunale di Napoli n. 4882/2022 del 17.05.2022; Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 1581/2022 del 3.05.2022).

La “guerra”, per i risparmiatori, non pare ancora perduta, tanto è vero il contenzioso in esame è anche approdato alla Corte Europea sui diritti dell’uomo (CEDU) di Strasburgo. In particolare è stato richiesto Alla Corte di verificare se le due decisioni emesse dalla Suprema Corte abbiano o meno violato l’articolo uno del primo protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che tutela in sostanza il diritto di proprietà. Nel caso di specie la condotta di Poste avrebbe leso l’affidamento trentennale dei risparmiatori, non rispettando appieno l’obbligo di specificare la misura dei nuovi interessi per tutti i trent’anni di durata del titolo.

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