Con la legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) l’ordinamento giuridico italiano ha riconosciuto e tutelato per la prima volta le convivenze di fatto, ovvero le coppie che convivono seppur non sposate. Nonostante l’intervento del legislatore nel 2016, rimangono comunque numerosi vuoti normativi.
Le novità introdotte con la legge Cirinnà
La Legge 20 maggio 2016, n. 76, meglio conosciuta come Legge Cirinnà, rappresenta un vero e proprio momento di svolta del diritto di famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Infatti, con essa il legislatore ha regolamentato per la prima volta le convivenze di fatto ed ha riconosciuto e tutelato le c.d. unioni civili tra persone dello stesso sesso: di fatto, quindi, sono state previste tutele e riconoscimenti legali per situazioni che, prima di quel momento, erano prive di protezioni formali e non godevano di diritti specifici.
Prima dell’entrata in vigore della legge Cirinnà, infatti, il concetto di famiglia in Italia era strettamente legato all’istituto del matrimonio, tant’è che la stessa Costituzione italiana definiva la famiglia come una “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29 Cost.). Per tale motivo, prima del 2016, le coppie che scelgono di convivere senza la formalità del matrimonio vivevano in una sorta di “limbo legale”, senza godere degli stessi diritti e protezioni accordate alle coppie sposate.
L’intervento del legislatore nel 2016 ha avuto un forte impatto sociale, in quanto, di fatto, ha preso atto di fenomeni sempre più diffusi nella società:
- riconoscendo e tutelando diritti e doveri per molte coppie e famiglie, sia eterosessuali che omosessuali;
- rafforzando le tutele per i figli nati fuori dal matrimonio (detti “figli naturali”), andando nella direzione di un’ equiparazione tra i figli naturali e i figli legittimi (i figli nati all’interno del matrimonio)
- stimolando il cambiamento culturale in Italia, contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti delle coppie omosessuali e delle coppie conviventi.
Coppie di fatto e convivenze di fatto: il contratto di convivenza
Ai sensi della legge Cirinnà, quando si parla di «conviventi di fatto» si fa riferimento a due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Bisogna tuttavia distinguere tra coppie di fatto e convivenze di fatto: il discrimine sta nella scelta o meno di formalizzazione il rapporto, nonché nei diritti e doveri che ne discendono.
A differenza della coppia di fatto, che convive stabilmente senza registrare ufficialmente la relazione presso il Comune, ai fini dell’accertamento della convivenza di fatto è necessario, alternativamente:
- registrare la convivenza nel Comune di residenza. La coppia si reca presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza e dichiara di coabitare presso la medesima unità immobiliare: la dichiarazione viene registrata dall’ufficio anagrafe, che, contestualmente, aggiorna i dati anagrafici delle parti coinvolte e rilascia un certificato di convivenza per attestare ufficialmente la situazione.
- stipulare un contratto di convivenza, ovvero un accordo scritto che permette ai conviventi di disciplinare vari aspetti della loro vita insieme e, in particolare, i rapporti patrimoniali reciproci. Nello specifico, si tratta di un contratto redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da avvocato o da notaio: copia di tale documento deve essere trasmessa al Comune di residenza dei conviventi entro 10 giorni dalla stipula ai fini dell’iscrizione all’anagrafe. Il contratto di convivenza rappresenta quindi uno strumento flessibile, capace di adattarsi alle esigenze delle parti e in grado di offrire loro una serie di vantaggi e di tutele legali in caso di separazione, malattia o morte di uno dei due conviventi.
L’ordinamento giuridico accorda invece una minore tutela alle coppie di fatto: infatti, l’ottenimento di un riconoscimento giuridico legale consente ai conviventi di godere di una protezione legale che si avvicina a quella accordata alle coppie legate dal vincolo del matrimonio (seppur non equiparabile). In assenza di ciò, le coppie di fatto godono diritti limitati e non specificatamente riconosciuti dalla legge, il cui contenuto viene continuamente ampliato grazie alle pronunce giurisprudenziali intervenute sul punto.
I diritti del convivente superstite
In caso di morte del convivente in presenza di convivenza di fatto, al superstite sono riconosciuti vari diritti:
- Diritto di abitazione. Nell’ipotesi in cui la coppia viva nell’abitazione di proprietà del convivente defunto, la legge riconosce al convivente superstite il diritto a continuare ad abitare in quella casa per un periodo pari a due anni, ovvero, in caso di durata della convivenza superiore a due anni, per un periodo comunque non superiore a cinque anni. Se nella casa vivono figli minori o figli disabili del convivente superstite, il diritto di abitazione è garantito per almeno tre anni. Ciò anche in presenza di eredi.
- Diritto di successione nel contratto di locazione. Il convivente superstite ha diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato al convivente defunto. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui l’immobile sia stato assegnato come alloggio popolare al convivente defunto, il superstite ha diritto a subentrare in tale contratto: ciò, tuttavia, in presenza dei requisiti di reddito previsti dalla legge ed esclusivamente nell’ipotesi di convivenza iniziata almeno due anni prima, effettiva fino al momento del decesso.
- Diritto alle informazioni sanitarie. Il superstite ha diritto di accesso alla cartella clinica del defunto: ciò anche nell’ipotesi in cui gli eredi dello stesso si oppongano.
- Diritto al risarcimento del danno. In caso di morte del convivente per incidente o per fatto illecito altrui, il convivente superstite ha diritto a richiedere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali.
Nonostante i diritti sopra elencati, permangono comunque forti limitazioni. A titolo esemplificativo, al convivente superstite non spetta la pensione di reversibilità (riservata per legge esclusivamente ai coniugi e ai partner di unioni civili) o il trattamento di fine rapporto di lavoro del defunto e il convivente superstite non ha diritti ereditari automatici sui beni del defunto, se non in presenza di un testamento che individui espressamente il superstite come beneficiario (sempre nel rispetto delle quote di legittima).
Al contrario, nell’ipotesi in cui non vi sia stata la formalizzazione del rapporto tra i conviventi, i diritti riconosciuti dalla normativa e dall’elaborazione giurisprudenziale sono notevolmente limitati e vige una fondamentale incertezza di fondo. A titolo esemplificativo, si pensi che formalmente non è riconosciuto alcun diritto di abitazione al convivente superstite: in teoria, lo stesso potrebbe al più permanere nell’immobile esclusivamente per il tempo necessario per individuare una sistemazione alternativa.
Conclusioni
In generale, risulta evidente che la normativa sul punto è ancora lacunosa ed incompleta, sicché ci si auspica un intervento legislativo volto a porvi rimedio. Infatti, in assenza di una formalizzazione del rapporto di convivenza i diritti riconosciuti e tutelati dalla legge sono estremamente limitati, con il rischio che non sia adeguatamente tutelata e garantita la sicurezza economica ed abitativa del partner superstite nell’eventualità di imprevisti.
Nel frattempo, considerando che la convivenza rappresenta una delle scelte di vita più comuni, è sempre consigliabile valutare l’adozione di strumenti giuridici ad hoc al fine di tutelare adeguatamente gli interessi della coppia. In particolare, si ritiene opportuno il riconoscimento giuridico formale del rapporto, sia tramite la stipula di un contratto di convivenza, che tramite semplice registrazione della convivenza all’anagrafe comunale. In alternativa, risulta utile a tal fine redigere apposite disposizioni testamentarie per assicurarsi che il convivente riceva parte dell’eredità, disposizioni comunque sempre rispettose delle quote di legittima riconosciute dalla legge agli eredi legittimi.
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Dott.ssa Chiara Fucina