La qualità dell’albergo è inferiore alle aspettative? Vanno risarciti i turisti del pacchetto ‘tutto compreso’

Cassazione civ., Sez. III, 17 gennaio 2013, n. 1033

In tema di tutela del consumatore – turista, al di là della pura applicazione della normativa contenuta nel recente Codice del Turismo (decreto legislativo 23 Maggio 2011, n. 79), l’acquirente di un pacchetto di vacanza “all inclusive” sottoscritto presso un’agenzia di viaggi ha diritto al risarcimento del danno quando le modalità di riproduzione fotografica delle mete di vacanza prospettate al cliente tramite cataloghi, locandine, supporti cartacei e digitali in genere non sono conformi all’aspetto e ai luoghi riscontrati nella meta di villeggiatura.

Dal contratto di organizzazione di viaggio regolato dal D. Lgs. n. 111 del 1995 scaturisce in capo all’operatore turistico una obbligazione non di mezzi ma di risultato, per cui, in caso di inadempimento od inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, è a carico dello stesso operatore l’allegazione e la dimostrazione che il mancato o inesatto adempimento sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, che può consistere soltanto, secondo quanto prevede l’art. 17 del predetto D.Lgs., nel fatto del terzo a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero nel caso fortuito o nella forza maggiore.

Cassazione civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7256

La prova del danno non patrimoniale da “vacanza rovinata”, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero.

Le ferie: diritti dei lavoratori e poteri del datore di lavoro

Cassazione civ., Sezioni Unite, 12 novembre 2011, n. 14020

Diritto alle ferie e malattia del lavoratore

Il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall’art. 36 Cost., è ricollegabile non solo a una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma altresì – come riconosciuto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2011 – a prescindere dalla effettività della prestazione – mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell’interesse dello stesso datore di lavoro; da ciò consegue che la maturazioen di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore e che la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata dalle ferie ex art. 2109, capoverso, cod. civ., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di assenza del lavoratore per malattia.

Mantenimento del figlio maggiorenne

Cassazione civ., Sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589

Mantenimento del figlio maggiorenne e attività lavorativa di quest’ultimo

Il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato espletato attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, atteso che non può avere rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di scelta che, se determina l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno.

Cassazione civ., Sez. I, 27 giugno 2011, n. 14123

In regime di separazione o divorzio fra i genitori, l’obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso quale vivono, cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l’indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggano volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata. Una volta che si è provato l’inizio di un’attività lavorativa retribuita, costituisce valutazione di merito, incensurabile in Cassazione se motivata, quella circa l’esiguità, in relazione le circostanze del caso, del reddito realizzato al fine di escludere o diminuire l’assegno.

La tutela del soggetto fragile: l’Amministrazione di Sostegno

“La vecchiaia è l’unico sistema che si sia trovato per vivere a lungo”

Charles de Sainte-Beuve

In the parkSpesso mi è capitato di incontrare clienti che mi chiedevano come si dovevano comportare con l’anziano genitore che cominciava a manifestare gravi difficoltà ad apprendere e ricordare nuove informazioni (smarrendo, ad esempio, spesso portafogli, occhiali, chiavi), eseguire compiti anche non complessi (chiudere il gas, avviare la lavatrice) o, ancora più banalmente, ad orientarsi nello spazio e nel tempo.

Altre volte i clienti mi mostravano vere e proprie certificazioni mediche che attestavano purtroppo la cd. malattia di Alzheimer e la conseguente incapacità del proprio caro nella gestione dei propri interessi, personali e patrimoniali.

Altre volte, infine, mi veniva chiesto di esprimere un parere sulla possibilità di “sciogliere” o annullare contratti palesemente svantaggiosi sottoscritti dall’anziano che si trovava solo in casa durante una cd. vendita a domicilio (o “porta a porta”).

Al fine di prevenire proprio queste ultime situazioni (che spesso comportano anche importanti perdite patrimoniali), la legge ha introdotto la cd. Amministrazione di Sostegno.

L’Amministrazione di Sostegno è un istituto di che mira a tutelare, in modo transitorio o permanente, le persone che – per infermità o menomazioni fisiche o psichiche, anche parziali o temporanee – non hanno la piena autonomia nella vita quotidiana e si trovano nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.

L’Amministrazione di Sostegno è pertanto un istituto previsto per far fronte a varie tipologie di persone non autonome: anziani ma anche disabili fisici o psichici, alcolisti, tossicodipendenti, malati gravi e terminali, persone colpite da ictus, ecc.

L’Amministratore viene nominato dal Giudice Tutelare e scelto preferibilmente nello stesso ambito familiare dell’assistito; infatti, possono essere nominati amministratore di sostegno: il coniuge, purché non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado. In alternativa l’amministratore viene scelto tenuto conto dell’esclusivo interesse del beneficiario.

Ogni persona, in previsione della propria eventuale futura incapacità, può – mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata – designare una persona di fiducia quale amministratore di sostegno che abbia cura della sua persona e del suo patrimonio.

La tutela del soggetto fragile: l’Amministrazione di Sostegno

“La vecchiaia è l’unico sistema che si sia trovato per vivere a lungo”

Charles de Sainte-Beuve

In the parkSpesso mi è capitato di incontrare clienti che mi chiedevano come si dovevano comportare con l’anziano genitore che cominciava a manifestare gravi difficoltà ad apprendere e ricordare nuove informazioni (smarrendo, ad esempio, spesso portafogli, occhiali, chiavi), eseguire compiti anche non complessi (chiudere il gas, avviare la lavatrice) o, ancora più banalmente, ad orientarsi nello spazio e nel tempo.

Altre volte i clienti mi mostravano vere e proprie certificazioni mediche che attestavano purtroppo la cd. malattia di Alzheimer e la conseguente incapacità del proprio caro nella gestione dei propri interessi, personali e patrimoniali.

Altre volte, infine, mi veniva chiesto di esprimere un parere sulla possibilità di “sciogliere” o annullare contratti palesemente svantaggiosi sottoscritti dall’anziano che si trovava solo in casa durante una cd. vendita a domicilio (o “porta a porta”).

Al fine di prevenire proprio queste ultime situazioni (che spesso comportano anche importanti perdite patrimoniali), la legge ha introdotto la cd. Amministrazione di Sostegno.

L’Amministrazione di Sostegno è un istituto di che mira a tutelare, in modo transitorio o permanente, le persone che – per infermità o menomazioni fisiche o psichiche, anche parziali o temporanee – non hanno la piena autonomia nella vita quotidiana e si trovano nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.

L’Amministrazione di Sostegno è pertanto un istituto previsto per far fronte a varie tipologie di persone non autonome: anziani ma anche disabili fisici o psichici, alcolisti, tossicodipendenti, malati gravi e terminali, persone colpite da ictus, ecc.

L’Amministratore viene nominato dal Giudice Tutelare e scelto preferibilmente nello stesso ambito familiare dell’assistito; infatti, possono essere nominati amministratore di sostegno: il coniuge, purché non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado. In alternativa l’amministratore viene scelto tenuto conto dell’esclusivo interesse del beneficiario.

Ogni persona, in previsione della propria eventuale futura incapacità, può – mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata – designare una persona di fiducia quale amministratore di sostegno che abbia cura della sua persona e del suo patrimonio.

Responsabilità dell'appaltatore e garanzia decennale per i gravi difetti di costruzione

Cassazione civ., Sez. II, 11 giugno 2013, n. 14650

I gravi difetti relativi ad una costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ. non si identificano necessariamente con i vizi incidenti sulla staticità dell’edificio. Ed infatti, gli stessi possono consistere in qualsiasi alterazione concernente la struttura e la funzionalità dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile.

Rientrano nella nozione di gravi difetti della costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ. anche le infiltrazioni d’acqua determinate da carenze di impermeabilizzazione e da inidonea realizzazione degli infissi. Ciò in quanto, pur essendo vizi che non richiedono opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lett. a) dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978, ovvero con opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o con opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

Tribunale L’Aquila, 17 febbraio 2013

La previsione normativa di cui all’art. 1669 cod. civ. prevede espressamente, quale fonte di responsabilità dell’appaltatore, non solo la rovina o la possibilità di rovina dell’edificio, ma anche i gravi difetti che si identificano non già con quei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell’edificio, rientrando in tal caso nell’ipotesi di rovina, ma in quelle alterazioni che menomano apprezzabilmente il godimento dell’opera, ivi comprese quelle incidenti su elementi concernenti le parti o il rivestimento esterno dell’immobile (nel caso di specie trattavasi del distacco di parti della cortina che riveste la facciata di un immobile e dell’ammaloramento della copertina in pietra di un terrazzo, ossia difetti ritenuti tali da diminuire sensibilmente il valore economico dell’edificio nel suo complesso).

Responsabilità dell’appaltatore e garanzia decennale per i gravi difetti di costruzione

Cassazione civ., Sez. II, 11 giugno 2013, n. 14650

I gravi difetti relativi ad una costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ. non si identificano necessariamente con i vizi incidenti sulla staticità dell’edificio. Ed infatti, gli stessi possono consistere in qualsiasi alterazione concernente la struttura e la funzionalità dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile.

Rientrano nella nozione di gravi difetti della costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ. anche le infiltrazioni d’acqua determinate da carenze di impermeabilizzazione e da inidonea realizzazione degli infissi. Ciò in quanto, pur essendo vizi che non richiedono opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lett. a) dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978, ovvero con opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o con opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

Tribunale L’Aquila, 17 febbraio 2013

La previsione normativa di cui all’art. 1669 cod. civ. prevede espressamente, quale fonte di responsabilità dell’appaltatore, non solo la rovina o la possibilità di rovina dell’edificio, ma anche i gravi difetti che si identificano non già con quei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell’edificio, rientrando in tal caso nell’ipotesi di rovina, ma in quelle alterazioni che menomano apprezzabilmente il godimento dell’opera, ivi comprese quelle incidenti su elementi concernenti le parti o il rivestimento esterno dell’immobile (nel caso di specie trattavasi del distacco di parti della cortina che riveste la facciata di un immobile e dell’ammaloramento della copertina in pietra di un terrazzo, ossia difetti ritenuti tali da diminuire sensibilmente il valore economico dell’edificio nel suo complesso).

Convivenza more uxorio e casa familiare

Cassazione civ., Sez. II, 21.03.2013, n. 7214

La pacifica distinzione tra la convivenza more uxorio e il rapporto coniugale non comporta che in una unione libera, che tuttavia abbia assunto i caratteri di comunità familiare, il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell’altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l’ospitalità, anziché sul negozio a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile.

La convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità. L’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa compiuta dal partner, di conseguenza, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio nei confronti dell’altro anche quando il primo non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi.

Cfr. Art. 1168. Azione di reintegrazione.

Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.

L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.

Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.

La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.

Buoni fruttiferi postali e calcolo degli interessi maturati

Cass. civ. Sez. Unite, 15.06.2007, n. 13979

Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il   D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli (si forma e) si fonda sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne consegue, quanto al relativo saggio degli interessi, che l’eventuale contrasto tra le condizioni apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne aveva disposto l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali (destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori) che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano risultare, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del titolo.

La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le indicazioni riportate sui buoni postali offerti in sottoscrizione ai richiedenti deve essere risolta dando la prevalenza alle seconde. L’accordo negoziale ha ad oggetto il contenuto enunciato dai buoni, anche quando in precedenza, con decreto ministeriale, siano state modificate le relative condizioni.

Conf. Trib. Bergamo, 30.07.2013

Si conferma il quadro giurisprudenziale radicatosi successivamente alla decisione delle Sezioni Unite sopra richiamata, ossia la prevalenza delle diciture che figurano sui buoni postali fruttiferi, consegnati ai sottoscrittori, con cui viene specificato il regime degli interessi, sulle condizioni, non conformi, fissate dal decreto ministeriale anteriore all’emissione di detti buoni. Quanto riportato sui buoni costituisce il patrimonio informativo in base al quale il singolo si è determinato alla sottoscrizione ritenendo la convenienza dell’affare per cui legittimamente confida che il contratto sarà disciplinato in accordo con le diciture su di essi.

Rinnovazione del contratto di locazione in caso di fallimento del locatore

Cassazione, Sezioni Unite, 16 maggio 2013, n. 11830

Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato che la rinnovazione tacita alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, per mancato esercizio, da parte del locatore, della relativa facoltà di diniego, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, la stessa rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ.

(Conf. Cass. civ. Sez. III, 07/05/2009, n. 10498)

Contra: Cass., 02/11/2011, n. 22711: in pendenza di procedimento di esecuzione forzata, la rinnovazione del contratto di locazione dell’immobile pignorato deve essere disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 560 cod proc. civ., essendo inopponibile all’aggiudicatario qualsiasi forma di rinnovazione tacita dovuta a mancata disdetta.

Art. 560 cod. proc. civ. Modo della custodia.

Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell’art. 593.

Ad essi è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell’esecuzione.

Il giudice dell’esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato, quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile.

Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio ed è eseguito a cura del custode anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario se questi non lo esentano.

Il giudice, con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’art. 569, stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita. Il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.

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