Nei contratti di locazione ad uso commerciale, lo scioglimento anticipato del rapporto per volontà unilaterale del conduttore è consentito solo se tale facoltà e prevista espressamente dai contraenti nel contratto medesimo (recesso convenzionale) oppure, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, se ricorrono gravi motivi che legittimano l’esercizio del cosiddetto recesso legale.
Questo è, sostanzialmente, il contenuto dell’articolo 27, comma VII, legge n. 392/1978.
Come è facile comprendere, il mero dato testuale non fornisce univoche e chiare indicazioni, indi per cui è l’elaborazione giurisprudenziale che ha dovuto contribuire all’individuazione dei presupposti idonei a fondare il potere di recedere del conduttore.
I gravi motivi devono innanzitutto avere natura oggettiva, non potendo attenere alla soggettiva unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si verificherebbe un’ipotesi di recesso ad nutum (Cassazione,, 19 dicembre 2014, n. 26892).
La giurisprudenza ha ravvisato la sussistenza di gravi motivi nel caso di congiuntura economica (sia sfavorevole che favorevole all’attività di impresa) sopravvenuta ed oggettivamente imprevedibile al momento della stipula del contratto di locazione, che abbia obbligato il conduttore rispettivamente a ridurre o ad incrementare la struttura aziendale, in modo tale da rendergli oltremodo gravosa la persistenza del rapporto locatizio in essere (così Cassazione 22 gennaio 2015, n. 1206; conf. Cassazione 21 aprile 2010, n. 9443).
Gravi motivi sono stati ravvisati anche nell’ipotesi di mancata realizzazione di un preannunciato piano di sviluppo edilizio della zona, con effetti negativi sulle prospettive commerciali dell’area, sulle quali il conduttore aveva fatto affidamento al momento della stipula del contratto di locazione di immobile da destinare a farmacia (Cassazione, 20 ottobre 1992, n. 11466).
Al contrario non sono stati ravvisati i gravi motivi richiesti dalla legge nell’ipotesi in cui il conduttore abbia ritenuto di trasformare, e non di ampliare o ridurre, l’attività contrattualmente prevista, venendo così ad incidere anche sui termini delle obbligazioni, finanche future, consacrate nel modello negoziale intercorso fra le parti (così Cassazione, 8 marzo 2007, n. 5328).