Esiste un diritto a non nascere o a non nascere se non sano? Considerazioni sul dilemma giuridico

Esiste un diritto a non nascere, o a non nascere se non sano? Se è vero che la legge italiana sostiene, per ognuno, il diritto a nascere sano quale diritto alla salute anche per un soggetto non ancora nato, è ugualmente vero che non esiste una vera e propria tutela riguardo all’evento contrario. Ovvero, il diritto da parte del nascituro a non nascere, qualora fosse affetto da malformazioni o patologie tali da comprometterne gravemente la salute e la qualità della vita.

Esiste un diritto a non nascere

 

Esiste un diritto a non nascere? La domanda crea una questione molto complessa e, di più, un vero e proprio dilemma per la giurisprudenza, considerando che – in base alla legge italiana – la capacità giuridica viene acquisita alla nascita e non prima, e che il diritto alla vita rimane sempre inviolabile.

Infatti, il diritto a non nascere in caso di gravi malformazioni o patologie congenite è da anni fonte di controversie. Questo significherebbe permettere alla madre di ricorrere all’aborto, evitando così la nascita di un soggetto che avrebbe comunque serie difficoltà di sviluppo psicofisico e di interazione sociale.

Non è per niente raro che qualcuno si rivolga a un giudice per chiedere un risarcimento in quanto, disabile grave o affetto da importanti anomalie congenite, sostiene un proprio diritto a non essere nato.

Oppure, al contrario, che una donna denunci un’istituzione sanitaria medica per non essere stata informata correttamente riguardo a una significativa malformazione del feto, e alla conseguente nascita di un figlio fortemente disabile.

Esiste davvero un “diritto a non nascere” in quanto non sani?

Questo ipotetico diritto genera ogni volta pareri contrastanti: effettivamente è come chiedersi se esista, al contrario, un diritto a nascere sani. Inoltre, la questione non riguarda puramente il diritto stesso: è opportuno capire anche a chi ci si deve rivolgere per ottenere la tutela e l’eventuale risarcimento in caso di violazione.

La Cassazione si è trovata a intervenire più volte in casi di mancata informazione ai genitori su gravi deformazioni del figlio in utero, con la conseguente impossibilità per loro di scegliere se continuare la gravidanza o ricorrere a un aborto terapeutico.

La mancata o inadeguata comunicazione sulla grave menomazione del feto implicherebbe il diritto – dei genitori, oppure anche dello stesso soggetto disabile – a ottenere un risarcimento?

In effetti, secondo quanto dichiarato dalla Cassazione stessa, il feto, oltre ad avere il diritto alla nascita e quindi alla vita, dovrebbe essere tutelato da ogni rischio, compreso un comportamento da parte del medico che potrebbe incidere sulla libertà di scelta della madre di interrompere la gravidanza e sulle conseguenti condizioni di salute del nascituro.

I casi in cui interrompere la gravidanza è un diritto

La famosa Legge 194/78, anch’essa fonte di dibattiti e contrasti, non permette l’aborto quale metodo per praticare una sorta di eutanasia, in quanto a essere tutelato prima di tutto è il nascituro, che ha tutti il diritto di venire al mondo anche quando fosse affetto da patologie, malformazioni e anomalie congenite.

La legge riconosce alle donne un eventuale diritto ad abortire entro i primi tre mesi di gravidanza, solo nelle situazioni in cui il proseguimento potrebbe compromettere seriamente le condizioni psicofisiche della madre, oppure nel contesto di una situazione economica particolarmente disagiata.

Nel periodo successivo ai tre mesi, una donna può abortire qualora si trovasse in serio pericolo di salute o, appunto, nel caso di una grave malformazione del feto. Tuttavia, dovrà essere informata preventivamente e con la massima precisione riguardo alle possibili conseguenze sia nel portare a termine la gravidanza, sia nel praticare l’aborto.

Esiste un diritto a non nascere? La richiesta del risarcimento può anche avvenire da parte del nascituro, una volta adulto

Ciò significa che, in caso di mancata o scarsa informazione, potrebbe verificarsi successivamente una richiesta di risarcimento anche da parte del nascituro stesso il quale, una volta adulto, può attribuire la colpa delle proprie condizioni di salute all’essere stato messo al mondo, per quanto affetto da disabilità significative.

Secondo quanto stabilito nel 2015 dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 25767/15), il diritto a non nascere se non sano nella legislazione italiana non trova riscontro, ma non perché a chiedere l’eventuale risarcimento è un soggetto che, all’epoca del fatto contestato, non era ancora nato. L’anteriorità alla nascita, infatti, non rappresenta in realtà un ostacolo, poiché un soggetto è tutelato dalla legge anche se privo di capacità giuridica.

Il problema se mai sta proprio nel sostenere il diritto a non nascere a un soggetto in quanto affetto da un’anomalia fisica: l’alternativa sarebbe stata l’interruzione della gravidanza, e quindi la morte, mentre la legge italiana riconosce esclusivamente il diritto alla vita. E la morte non potrebbe mai essere considerata una condizione che si accorda a tale diritto.

Il diritto a nascere sano e il diritto alla salute

Per rispondere a questo problema, è invece opportuno considerare il caso del diritto per ogni individuo alla salute, e quindi anche a nascere in salute, e della richiesta di risarcimento avanzata a seguito di una scarsa, inesatta o poco chiara informazione da parte di un’istituzione medica, tale da impedire alla donna il corretto esercizio del proprio diritto di abortire.

In questo caso, la mancanza informazione fornita dal medico nei confronti della scelta dell’aborto, comporta conseguenti danni non solo alla madre stessa, ma anche alla vita futura del neonato, obbligato a un’esistenza limitata e magari alienante.

Ciò significa che nei casi del genere un soggetto nato con disabilità o patologie può chiedere risarcimento al medico il quale, all’epoca, non aveva informato correttamente la madre, impedendole di prendere una decisione riguardo alla gravidanza.

Non si tratta quindi del diritto a non nascere se non sano, ma del diritto di nascere sano e di condurre una vita normale. La violazione riguarda il diritto alla salute, così come il diritto allo sviluppo della personalità e a una vita familiare e sociale soddisfacente.

Una serie di diritti che viene lesa appunto da un’informazione non corretta, inesatta o assente da parte di un medico il quale, non permettendo alla donna di interrompere la gravidanza di fronte ai gravi handicap del nascituro, ha costretto quest’ultimo a una vita personale e sociale notevolmente compromessa.

In sostanza, si può dire che la legge italiana riconosca i danni causati da una nascita non desiderata non solo nei riguardi della madre, a cui è stato negato il diritto di abortire, ma anche di altri eventuali famigliari e soprattutto del neonato, a cui viene appunto precluso alla nascita il diritto alla salute e al benessere.

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