Smart working: cosa dice la legge? Normative e innovazioni nel settore pubblico e privato

Smart working: cosa dice la legge? Per comprendere meglio i meccanismi dello smart working attuale, è importante conoscere anche le origini del lavoro a distanza in Italia, i settori di applicazione e le modalità operative, prima ancora di riferirsi alle normative più recenti, che hanno in parte modificato l’organizzazione del settore pubblico.

Smart working: cosa dice la legge?

Per i lavoratori delle Pubbliche Amministrazioni, la data del 15 ottobre 2021 ha segnato la fine dello smart working e, di conseguenza, il rientro in sede entro il 30 ottobre e la ripresa delle normali attività svolte in ufficio, ritornando a una situazione simile a quella precedente alla pandemia di Covid 19.

Tuttavia, parrebbe trattarsi di una condizione temporanea, in attesa che il lavoro da remoto, o lavoro agile (smart working), venga considerato come modalità operativa a tutti gli effetti, a seguito di un restyling normativo e organizzativo e al relativo accordo tra enti pubblici, Governo e sindacati. Una serie di innovazioni che senza dubbio coinvolgeranno anche il settore privato.

Smart working, lavoro agile, telelavoro e flessibilità: scopriamo le differenze

Prima di tutto, occorre considerare che, per quanto si parli molto di smart working solo negli ultimi tempi di pandemia, quale efficace metodo di contenimento dei contagi, questa modalità di lavoro era già stata prevista in passato, regolata dalla Legge Delega 124 / 2015. Tale legge inseriva il telelavoro nella pubblica amministrazione quale modalità da applicarsi al 10% del personale in un periodo di tre anni, al fine di tutelare e rispettare la vita privata dei dipendenti e, al contempo, assicurare il corretto e completo funzionamento dell’ufficio.

Successivamente, con la L. 81 / 2017, era stata introdotta una maggiore flessibilità nei rapporti di lavoro subordinato, sia nel pubblico che nel privato, arrivando a definire per la prima volta il concetto di lavoro agile (lo smart working attuale), quale elemento utile per consentire ai dipendenti di adattare meglio gli impegni famigliari al proprio ruolo professionale, avvalendosi di tecnologie utili per escludere il vincolo della sede di lavoro o dell’orario.

Il lavoro agile, successivamente definito come smart working, richiedeva quindi un accordo preciso tra dipendente e datore di lavoro per definire l’orario e la sede dell’attività, svolta solo in parte presso l’azienda, con l’obbligo di fornire al lavoratore tutti gli strumenti utili per operare correttamente. Restava inteso il diritto dell’azienda di riferimento nell’effettuare il monitoraggio dei dipendenti in telelavoro, senza però mai comprometterne la privacy.

Telelavoro e smart working sono da considerarsi uguali?

Sia il telelavoro che lo smart working si riferiscono a un accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore. A quest’ultimo è riconosciuta la possibilità di operare in ambienti diversi dalla sede aziendale, avvalendosi di strumenti informatici. Si tratta quindi di una modifica organizzativa della prestazione originale, regolata da un accordo scritto e firmato. Tuttavia, telelavoro e lavoro agile, o smart working, rappresentano due concetti molto diversi.

  • Il telelavoro infatti si riferisce a un effettivo decentramento delle postazioni lavorative, organizzato in maniera tale da permettere la continua interazione in tempo reale con la sede;
  • Lo smart working è invece una modalità che non prevede vincoli di sede o di orario, permettendo al lavoratore di operare praticamente ovunque. In sostanza, si può dire che il telelavoro derivi da un’esigenza aziendale di decentrare fuori sede i dipendenti. Lo smart working invece è specificamente studiato per permettere ai lavoratori di rispondere alle proprie esigenze personali e familiari.

Il Covid 19 e l’uso dello smart working come strumento di prevenzione

Con il D.L. 18 / 2020 e successivi, le autorità governative italiane hanno deciso di ricorrere allo smart working come strumento che contribuisse a contenere il diffondersi dei contagi di Covid 19 ma, nello stesso tempo, a non compromettere la continuità operativa di uffici e aziende.

Più che altro, le normative hanno trasformato in un obbligo l’uso del lavoro agile sia nel settore privato che pubblico, per evitare i problemi dovuti a mancati accordi tra datore di lavoro e lavoratore. Una decisione che ha incrementato notevolmente questa modalità di lavoro. Consideriamo che l’Italia era tra i paesi europei meno propensi a sfruttare il metodo, peraltro vantaggioso, del lavoro in remoto.

Attualmente, dopo che lo smart working è arrivato a coinvolgere oltre il 90% dei lavoratori pubblici. Solo una minima percentuale ha dichiarato di preferire il classico lavoro in ufficio. Oltre la metà ha espresso la propria preferenza per lo smart working o, in misura minore, per il telelavoro tradizionale.

Green Pass e smart working: quali sono gli obblighi?

Con il recente D.L. 127 / 2021, i lavoratori pubblici, anche se dipendenti da aziende esterne e in appalto, in possesso di Green Pass (per ciclo vaccinale o guarigione da Covid 19) sono stati obbligati a tornare in ufficio. L’assenza del certificato verde, come da disposizioni legislative, prevede che il lavoratore sia considerato assente ingiustificato, e pertanto non riceva alcun compenso. Successivamente, il Dcpm 23/10/2021 ha stabilito che l’unica modalità di lavoro sia quella in presenza, con definizione di orari specifici e di strumenti di controllo che comprovino la presenza del Green Pass.

Domande e risposte

Lo smart working può esonerare dall’obbligo di Green Pass?

Per legge, l’obbligo a esibire il Green Pass riguarda solo il personale che opera fisicamente in ufficio. È bene tenere presente che lavorare in smart working non è da considerarsi una soluzione alternativa per evitare il vaccino ed escludere l’obbligo della certificazione.

Lo smart working tornerà ad essere utilizzato solo in minima percentuale?

Apparentemente, sembrerebbe che il sistema dello smart working stia tornando ad essere usato solo in una percentuale irrilevante. Non è proprio così. Prima di tutto si sta parlando di una riorganizzazione dei sistemi di smart working nel pubblico impiego, utile anche per permettere agli enti di allestire piattaforme in cloud e metodi di trasmissione precisi e sicuri. Inoltre, le prestazioni che i pubblici uffici offrono ai propri utenti non possono subire decrementi a causa dei lavoratori che scelgono lo smart working. Per tale ragione è necessario un restyling completo.

Come verrà organizzato lo smart working in epoca post Covid-19?

Lo smart working rappresenta uno dei temi principali inseriti nei prossimi rinnovi dei contratti nazionali del pubblico impiego. Non solo, è anche un importante argomento di trattativa tra Governo e sindacati.

L’alternativa dello smart working tornerà ad essere regolata da un’intesa tra il singolo dipendente e l’ente pubblico di riferimento, come avveniva in epoca pre Covid.

La ristrutturazione è ancora in corso, per questo non è ancora possibile sapere con esattezza come verrà organizzato lo smart working. Saranno probabilmente i lavoratori a poter richiedere questa modalità tramite un contratto con il datore di lavoro, nel quale si evidenzino gli orari di lavoro e l’attività di riferimento.

È prevista una percentuale massima di lavoratori in remoto?

Sarà prevista, probabilmente, una percentuale fissa di lavoratori in smart working, più o meno il 15%, privilegiando gli invalidi. Sono inoltre da definire gli elementi della retribuzione, le ferie e i permessi. Ovviamente, anche i metodi di controllo per verificare il rispetto dell’orario di lavoro.

In sostanza, lo smart working non è per niente destinato a scomparire. Piuttosto sarà ridefinito tramite la negoziazione in corso tra l’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) che rappresenta il Governo e i sindacati della pubblica amministrazione, e disciplinato con maggiore precisione.

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