Invalido e licenziato per superamento del periodo di comporto. Cosa fare?
Durante il periodo di malattia o infortunio, il rapporto di lavoro rimane “sospeso”, con diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro per un arco di tempo determinato dalla contrattazione collettiva: superato tale termine, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto di lavoro. Più delicata è invece la questione del licenziamento del lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto.
Il periodo di comporto, contemplato dall’articolo 2110 cod. civ., consiste in un arco di tempo predeterminato durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro nel caso di assenza per malattia o per infortunio non dipendente da causa di lavoro. La durata di tale arco temporale viene stabilita dalla legge, dalla contrattazione collettiva o, in via residuale, dagli usi e varia in base al settore merceologico di riferimento, all’anzianità di servizio e alla qualifica del lavoratore. Al superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro può scegliere di recedere dal contratto, previo preavviso ai sensi dell’art. 2118 cod. civ.
- Modalità di calcolo del comporto
Ai fini del calcolo del comporto, è necessario fare riferimento alla durata del periodo di comporto delineata nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di riferimento. Sarà pertanto necessario procedere alla sommatoria di tutte le assenze per malattia intervenute in tale arco di tempo, calcolandolo a ritroso a partire dal giorno che precede all’ultimo episodio morboso episodio e sommando i giorni di assenza relativa all’episodio morboso in atto.
Secondo una costante giurisprudenza, il calcolo va effettuato secondo il calendario comune (Cassazione civile sez. lav., 09.04.2019, n. 9751) e, in ossequio al principio di presunzione di continuità della malattia, bisogna considerare anche i giorni non lavorati per sciopero e i giorni non lavorativi (le domeniche e/o i festivi) rientranti nel periodo di malattia indicato dal certificato medico. Inoltre, nel caso di due periodi di malattia consecutivi, vengono considerati nel calcolo anche i giorni festivi “a cavallo” tra i due periodi di malattia attestati da certificati medici in sequenza (Corte appello Brescia sez. lav., 06.03.2018, n. 94). Per altro, l’evento morboso si considera unico sia allorché:
- l’assenza sia attestata da un unico certificato;
- l’assenza sia attestata da più certificati che prorogano l’originaria prognosi (senza che vi sia una effettiva ripresa in servizio da parte del lavoratore);
- l’assenza si protragga senza interruzioni a fronte di prognosi differenti.
Tuttavia, non si calcolano invece i giorni di assenza per malattia determinata da gravidanza o puerperio (Nota del Ministero del Lavoro, 16.11.2006, prot. n. 6123) e il lavoratore ha la facoltà di richiedere che l’assenza per malattia sia convertita in fruizione delle ferie maturate e non ancora godute, al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto (Cassazione civile, sez. IV lav., 07.06.2013, n. 14471). Sono inoltre esclusi dal calcolo anche i day hospital e i giorni di ricovero ospedaliero, comprensivo dei conseguenti giorni di prognosi, i giorni di assenza per malattia dovuti a sclerosi multipla o necessari alla somministrazione al lavoratore di terapie salvavita, purché debitamente certificati. Si rileva inoltre che, al superamento dei limiti di conservazione del posto, il lavoratore potrà usufruire dell’aspettativa non retribuita per malattia, previa richiesta scritta in tal senso.
- Comporto breve e comporto prolungato
Si considera inoltre che solitamente si distingue tra “comporto breve” (o comporto per sommatoria), che riguarda più malattie o infortuni non di lavoro verificatesi complessivamente nell’arco di tempo considerato, e “comporto prolungato” quando, a fronte di determinate situazioni, al lavoratore viene riconosciuto il diritto ad un periodo ulteriore di conservazione del posto (Cassazione civile sez. lav., 05.10.2018, n. 24599). Ciò avviene quando si è in presenza di: una malattia continuativa con assenza ininterrotta (c.d. “comporto secco”) o interrotta da un’unica ripresa del lavoro per un periodo non superiore a 61 giorni; due malattie comportanti, ciascuna, un’assenza continuativa pari o superiore a 91 giorni; ovvero una malattia in corso, alla scadenza del periodo di comporto breve, con prognosi pari o superiore a 91 giorni.
Peraltro, secondo un orientamento giurisprudenziale maggioritario, non sussiste in capo al datore di lavoro l’obbligo di comunicare al lavoratore l’imminente superamento del periodo di comporto: esiste tuttavia un orientamento di merito minoritario di segno opposto, che prevede tale obbligo in ossequio ai principi di buona fede e correttezza.
- Disabilità e superamento del periodo di comporto
Oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza è invece il tema del licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore con disabilità, alla luce del rischio concreto di incorrere in una declaratoria di nullità del recesso per discriminazione indiretta. Sul punto, infatti, si rilevano pronunce giurisprudenziali contrastanti, alla luce anche della normativa e della giurisprudenza previste a livello europeo a garanzia del principio di parità di trattamento (si fa riferimento alla Direttiva 2000/78/CE, attuata a livello nazionale con il D.lgs. n. 216 del 2003).
Si rileva che nessuna norma all’interno dell’ordinamento giuridico italiano prevede la necessità di disciplinare il periodo di comporto in modo differente per i lavoratori con e senza disabilità: si ritiene tuttavia che il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore affetto da disabilità presenti evidenti profili di illegittimità. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale affermatosi in materia, sarebbe sufficiente per il datore di lavoro distinguere le assenze per malattia dalle assenze per patologie correlate alla specifica disabilità, non considerando le seconde nel calcolo del comporto (Cassazione civile, sentenze n. 9395/2017, n. 7730/2004, n. 10769/1994).
Tuttavia, una recentissima pronuncia della Cassazione è giunta a ritenere che l’applicazione al lavoratore disabile dell’ordinario periodo di comporto rappresenti a tutti gli effetti una discriminazione indiretta: i lavoratori invalidi, infatti, risultano maggiormente esposti al rischio di malattia a causa della loro condizione di disabilità, con conseguente rischio di accumulare maggiori giorni di assenza. Non rileva quindi a tal fine l’effettiva conoscenza da parte del datore di lavoro né dello stato di disabilità del lavoratore né della riconducibilità dell’assenza per malattia alla patologia invalidante: la discriminazione opera, infatti, in modo oggettivo (Cassazione civile sez. lav., 31.03.2023, n. 9095).
A conferma e prosecuzione dell’orientamento giurisprudenziale delineato dalla Corte, s’inseriscono anche la recentissima sentenza n. 3716 del 27.11.2023 della Corte di Appello di Roma, che ha ribadito che la rigida applicazione ai lavoratori disabili del periodo di comporto configura una discriminazione indiretta e che ha enfatizzato la necessità di interpretare le assenze di tale lavoratore come intrinsecamente legate alla sua condizione di invalidità, nonché la sentenza della Corte di appello Genova, sez. lav., 21.07.2021 n. 211. In tale occasione, nonostante il superamento effettivo del comporto da parte del lavoratore affetto da disabilità, il licenziamento intimato dalla società è stato giudicato illegittimo, in quanto integrante una discriminazione indiretta, alla luce del fatto che veniva equiparato in modo non consentito “lo stato di handicap (caratterizzato da una menomazione permanente non destinata alla guarigione ma, nella maggior parte dei casi, al peggioramento dei postumi) ad una comune “malattia” (intesa come episodio di inabilità temporanea destinato alla guarigione)”.
Nelle more di tale pronuncia e in attesa di un intervento del legislatore diretto a colmare la lacuna, si è creata una situazione di incertezza sul tema, a fronte dell’invito della Corte alla contrattazione collettiva a prevedere periodi di comporto differenti per i lavoratori disabili. Stante la lacuna normativa e le recenti pronunce giurisprudenziali sul punto, si configura quindi in tale ipotesi un alquanto probabile impugnazione del licenziamento, con grave rischio di conseguente declaratoria di nullità dello stesso e riconoscimento del diritto della lavoratrice alla reintegra nel posto di lavoro, nonché alla corresponsione di tutte le mensilità dal licenziamento alla reintegra, oltre alla regolarizzazione della sua posizione contributiva ed assicurativa presso gli Enti competenti.
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Dott.ssa Chiara Fucina