L’assegno divorzile
Assegno divorzile: Cos’è? Quali sono i presupposti? Con la sentenza di divorzio, il giudice può prevedere in capo ad uno di coniugi l’obbligo di corrispondere all’altro un contributo economico per colmare la disparità reddituale tra gli ex-coniugi. La declinazione compensativa e perequativa dell’istituto.
Cos’è? Come si differenzia dall’assegno di mantenimento?
Ai sensi dell’articolo 5 della Legge del Divorzio (L. 898/1970), con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale può prevedere in capo ad uno degli ex coniugi l’obbligo di corrispondere all’altro un contributo economico, il c.d. assegno divorzile.
Si tratta di un sostegno economico che può essere corrisposto a beneficio del coniuge meno abbiente, da erogarsi in misura periodica o anche in un’unica soluzione. Tale istituto si giustifica alla luce della volontà di conservare quel vincolo di solidarietà venutosi a creare con la celebrazione del matrimonio, vincolo che si affievolisce ma che non scompare del tutto con il venir meno del dovere reciproco di assistenza morale e materiale. L’importo viene stabilito in sede di divorzio alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti: in particolare, vengono prese in considerazione le condizioni dei coniugi, le ragioni alla base della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, anche alla luce durata del matrimonio.
L’assegno divorzile si differenzia dal c.d. assegno di mantenimento (art. 156 cod. civ.), il quale costituisce invece un contributo economico riconosciuto in sede di separazione al fine di fornire un supporto al coniuge economicamente più debole. I presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile sono diversi e ben più stringenti rispetto all’assegno di mantenimento: infatti, se il primo può essere previsto con funzione compensativa e perequativa solo allorché sia stata completata la procedura di divorzio, il secondo viene riconosciuto alla luce del dovere di assistenza materiale che discende dal vincolo matrimoniale, quando questo ancora non è stato sciolto.
Le funzioni dell’assegno divorzile negli anni
L’istituto dell’assegno divorzile trova una disciplina sintetica e concisa nella Legge sul divorzio, la quale deve tuttavia essere letta alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali. Infatti, nel corso degli anni si è assistito a numerosi interventi da parte della giurisprudenza che hanno influenzato notevolmente l’istituto.
Si pensi al criterio del mantenimento del tenore di vita coniugale, criterio introdotto sulla scorta di una storica sentenza della Corte di cassazione (Cass. Civ, sentenza n. 1564/1990): sulla base di tale orientamento il giudice doveva tenere conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quantificando l’assegno in modo tale da garantire a seguito del divorzio di un analogo tenore di vita.
Tale orientamento è stato recentemente rovesciato con la c.d. Sentenza Grilli (Cass. Civ. sez. I, sentenza n. 11504/2017), in base alla quale la continuazione del tenore di vita endoconiugale non rileva più in sede di determinazione dell’entità dell’assegno divorzile. Viene infatti sancito in questa sede il principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi, in base al quale l’assegno divorzile può essere riconosciuto esclusivamente a fronte dell’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli: in questo modo si riconosce all’assegno divorzile una funzione esclusivamente assistenziale.
Con un successivo intervento delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., sentenza n. 18287/2018), tuttavia, la Corte di cassazione ha mutato il proprio orientamento in materia, chiarendo che l’assegno divorzile svolge, accanto alla funzione assistenziale, anche una funzione compensativa e perequativa. Per tale motivo, dunque, attualmente tale beneficio è riconosciuto solamente allorquando, a fronte di una situazione di non autosufficienza economica, sia dimostrato un effettivo contributo personale dell’ex coniuge alla conduzione familiare, con sacrificio dell’attività lavorativa e/o delle occasioni di carriera professionale. Non è tuttavia richiesto che tale sacrificio sia totale e quindi che, ad esempio, il coniuge abbia abbandonato il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla famiglia, essendo a tal fine sufficiente che lo stesso abbia optato per un lavoro meno remuneratizio rispetto ad un altro o anche solo per un lavoro part time al fine di dedicarsi maggiormente alla famiglia, senza che rilevino le motivazioni sottese a tale scelta (Cass. Civ. sez. I, sentenza n. 27945/2023).
Quando si perde il diritto all’assegno divorzile? La nuova convivenza di fatto.
Il diritto all’assegno divorzile può venir meno a fonte del verificarsi di determinate condizioni: in questi casi, a fronte del mutamento dei presupposti che ne stanno alla base, può essere disposta su istanza di parte la revoca dell’assegno.
Innanzitutto, l’obbligo di corresponsione di tale contributo economico cessa necessariamente nell’ipotesi di nuovo matrimonio dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno: tale revoca si giustifica alla luce del venir meno della componente assistenziale dell’assegno divorzile.
Ondivago è invece l’orientamento della giurisprudenza circa l’ipotesi di sopravvenuta convivenza di fatto con carattere stabile: in passato si riteneva che anche la formazione di una nuova famiglia di fatto determinasse una perdita automatica ed integrale del diritto al contributo economico. Tuttavia, una recente sentenza delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., sentenza n. 32198/2021) ha chiarito che in tale ipotesi non necessariamente viene meno il diritto all’assegno divorzile: infatti, rimarrebbe dovuta una parte dell’assegno, intesa come quella parte afferente alla componente perequativo – compensativa. A tal fine, tuttavia, è necessario che sia fornita prova dell’effettivo sacrificio del proprio percorso professionale a favore delle scelte e delle esigenze familiari: il contributo economico rappresenterebbe in questo caso una sorta di “ristoro” per i sacrifici e le rinunce fatte in costanza di matrimonio al fine di dedicare più tempo alla famiglia.
L’ex coniuge obbligato può inoltre fare domanda di revoca dell’assegno nell’ipotesi in cui:
- è venuto meno il requisito dell’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli, in quanto le condizioni economiche del beneficiario dell’assegno sono mutate in misura tale da renderlo autosufficiente;
- il soggetto beneficiario si rifiuta di lavorare, pur avendone la capacità;
- le condizioni economiche del soggetto obbligato sono peggiorate in modo rilevante.
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Dott.ssa Chiara Fucina