Locazioni commerciali e Covid: quali norme applicabili?

avvocato bresciaPremessa.

Le misure governative finalizzate al contenimento del contagio da Covid – 19 hanno avuto, e stanno avendo, un grande impatto sulle attività di impresa, soprattutto per quelle colpite dalla forzata, seppur temporanea, sospensione.

Purtroppo, posto il decremento di redditività subito da molte attività, le conseguenze negative derivanti dalla pandemia saranno destinate a proseguire anche per il periodo successivo la sospensione ex lege: per questi motivi l’intervento del Legislatore è fondamentale.

In tema di locazioni, ad oggi, i rimedi previsti dai provvedimenti governativi sono assai limitati.

Infatti, al di là delle agevolazioni fiscali introdotte dal Decreto Cura Italia, il cui art. 65 prevede un credito di imposta del 60% sui canoni di locazione pagati (come successivamente confermato dai vari Decreti Ristori che si sono susseguiti nel tempo), non vi sono norme speciali volte a favorire, ad esempio, la rinegoziazione – e quindi la riduzione momentanea – del canone di locazione commerciale in questo particolare periodo emergenziale.

Non appare certamente risolutiva (come sottolineato dalla giurisprudenza sinora intervenuta), posta la sua infelice formulazione, la previsione di cui al comma 6-bis dell’art. 3 del D.L. n. 6/2020 introdotto dal Decreto Cura Italia a mente del quale, il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse.

In questo quadro la Relazione n. 56/2020 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione (clicca qui per leggerne il testo integrale), dopo aver riscontrato la difficile interpretazione delle norme del legislatore “emergenziale”, afferma che i tradizionali rimedi contrattuali previsti dal codice civile non sembrerebbero adeguati a tutelare le concrete esigenze delle imprese. Invero, si legge nella Relazione, tali rimedi (ad esempio, si pensi alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., o per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 cod. civ.) pur astrattamente applicabili alla situazione attuale – atteso che l’evento pandemico rappresenta senz’altro una situazione imprevedibile e di portata tale da alterare l’equilibrio contrattuale – danno luogo allo scioglimento definitivo del contratto. Viceversa, le imprese hanno generalmente interesse a mantenere in essere il rapporto contrattuale rinegoziando, se del caso, le condizioni di pagamento in attesa che tal periodo di crisi venga meno.

In particolare, sciogliere i contratti per effetto della situazione di emergenza economico – finanziaria creata dalla pandemia e delle misure di contenimento del contagio finirebbe, secondo l’ufficio Massimario della Cassazione, per “fare terra bruciata delle relazioni di impresa”.(cfr. Relazione n. 56/2020).

Per tali motivi, l’Ufficio del Massimario della Cassazione suggerisce di valorizzare appieno il principio di buona fede oggettiva in fase di esecuzione del contratto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1375 cod. civ., che ha valore di ordine pubblico ed è, peraltro, collegato al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione: in tal modo si potrebbe provare a fornire sostanza giuridica alla richiesta di rinegoziazione del contenuto del contratto alla luce della pandemia in corso.

L’inadempimento della rinegoziazione da parte del locatore, peraltro, legittimerebbe la pretesa risarcitoria del conduttore.

In questa direzione, il legislatore si è mosso nell’ambito delle locazioni abitative, introducendo, in sede di conversione, l’art. 9-quater al d.l. 28.10.2020, n. 137. Tale norma, istituendo il Fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali, stabilisce che, “per l’anno 2021, al locatore di immobile ad uso abitativo, ubicato in un Comune ad alta tensione abitativa, che costituisca l’abitazione principale del locatario, che riduce il canone del contratto di locazione in essere alla data del 29 ottobre 2020, è riconosciuto, nel limite massimo di spesa di cui al comma 4, un contributo a fondo perduto fino al 50 per cento della riduzione del canone, entro il limite massimo annuo di 1.200 euro per singolo locatore”. E’ certamente una norma assai circoscritta e limitata, ma introduce, per la prima volta, uno strumento che pare muoversi nella direzione indicata dalla Relazione della Suprema Corte di Cassazione.

Premesso ciò, quali sono allora i rimedi oggi applicabili? Più in particolare, se il conduttore non paga il canone di locazione commerciale il giudice può convalidare lo sfratto per morosità?

Nel quadro normativo sopra esposto si stanno prospettando orientamenti giurisprudenziali di merito, non sempre omogenei, ma che, a determinate condizioni e con precisi requisiti, sembrano scongiurare l’ipotesi di scioglimento del contratto ovvero di sfratto per morosità in ragione delle difficoltà economiche derivanti tutte dal periodo di crisi che stiamo vivendo. Tali pronunce sono ancora limitate, ma certamente rappresentano un primo tentativo giurisprudenziale di salvaguardare le contrapposte posizioni economiche delle parti.

Di seguito si riportano alcune pronunce recenti.

Il Tribunale di Venezia non ha convalidato lo sfratto per morosità intimato dal locatore al conduttore che aveva locato i locali del primo per svolgere attività di ristorazione.

Tale decisione è dipesa dal fatto che il giudice ha escluso la riconducibilità dello stato di debenza ad una reale “volontà” di non adempiere (i canoni infatti erano sempre stati regolarmente corrisposti sino al febbraio 2020), quanto piuttosto ad un’effettiva contingenza derivante dall’emergenza sanitaria e dalla connessa normativa restrittiva. Nel ragionamento del giudice di primo grado si legge che, nel periodo marzo – maggio 2020, la conduttrice è andata incontro ad un’impossibilità soltanto parziale di godimento dell’immobile, posto che comunque lo ha utilizzato quale deposito delle proprie attrezzature. Dunque, tale circostanza legittimerebbe il recesso, ma anche la riduzione della controprestazione economica dovuta (Trib. Venezia n. 5480/2020).

La decisione del giudice di Venezia aderisce alla Relazione n. 56/2020 e si distingue dalle altre emesse in questi mesi in merito alla questione sfratti per morosità determinati dall’impossibilità di corrispondere il canone mensile a causa della chiusura forzata delle attività.

Più in particolare, anche il Tribunale di Roma (ordinanza RG n. 23871/2020) ed il Tribunale di Frosinone (ordinanza RG n. 9130/2020) hanno confermato l’esclusione della procedura di sfratto dovuta alle restrizioni e difficoltà del periodo di c.d. lockdown. Tuttavia, al contrario del Tribunale di Venezia, tali pronunce non prevedono la rinegoziazione a ribasso del canone di locazione, bensì giustificano solamente il ritardo del pagamento e ciò in virtù del succitato art. 91, del Decreto Cura Italia.In altre parole, il pagamento dei canoni di locazione arretrati sarà dovuto in toto dal debitore una volta riacquisita la liquidità.

Lo Studio dell’Avvocato Pedretti, operante avanti il Tribunale e la Corte di Appello di Brescia, resta a disposizione per ulteriori chiarimenti e approfondimenti.

 

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