Corte di Cassazione, sent. 14.02.2023, n. 4616
Abbiamo già visto cosa succede quando uno sfratto per morosità viene convalidato, con le azioni a disposizione del proprietario per liberare l’immobile dall’inquilino moroso.
Con questo intervento analizzeremo invece l’istituto del cd. termine di grazia.
Per l’art. 5 della L. 27.07.1978, n. 392 (Legge sull’equo canone), la persistente morosità dell’inquilino nella corresponsione dei canoni mensili, oppure nel pagamento degli importi dovuti a titolo di spese accessorie (spese condominiali), costituisce un grave inadempimento, ex art. 1455, cod. civ., di fronte al quale sussiste per il locatore la facoltà di ricorrere al procedimento dello sfratto per morosità.
Con tale procedura il proprietario potrà ottenere il rilascio e la riconsegna dell’immobile da parte del conduttore inadempiente, agendo con un atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione in udienza per la convalida, nonché con ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti.
A questo punto, per il conduttore si prospettano diverse possibilità ; lo stesso, infatti:
– può non presentarsi all’udienza, provocando la convalida dello sfratto;
– presentarsi e formulare opposizione allo sfratto;
– presenziare e saldare banco judicis la morosità;
– presentarsi e domandare al Giudice la concessione del cosiddetto “termine di grazia”, ai sensi dell’art. 55 della Legge sull’equo canone.
L’istituto giuridico del termine di grazia riveste una notevole importanza nella disciplina del contratto di locazione, in quanto la possibilità per il conduttore di farne richiesta rappresenta la tendenza del legislatore a tutelare la controparte debole del contratto locatizio, ossia il conduttore, al quale viene offerta la possibilità, anche dopo che la procedura di sfratto sia stata avviata dal locatore, di porre rimedio al suo inadempimento, sanando la sua posizione debitoria con il locatore, seppur entro un preciso termine. Il ricorso a tale potere di sanatoria può essere esercitato dall’inquilino moroso per non più di tre volte nel corso di un quadriennio.
L’istituto del termine di grazia rappresenta una deroga alle normali regole in tema di risoluzione del contratto, in particolare, al comma 3 dell’art. 1453, cod. civ., il quale impedisce alla parte inadempiente di sanare l’inadempimento una volta che sia stata proposta la domanda giudiziale di risoluzione del contratto.
La disposizione di cui all’art. 55 della Legge n. 392/1978 prevede due alternative, sulla base delle quali il conduttore può sanare la propria morosità o direttamente in udienza o fuori udienza, vedendosi assegnare il cosiddetto “termine di grazia”.
La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri di cui al summenzionato art. 5, dovrebbe infatti essere sanata all’udienza per la convalida di sfratto, durante la quale il conduttore versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate, in tale sede, dal Giudice; qualora, invece, il suddetto pagamento non avvenga in udienza, il Giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà economiche del conduttore, può assegnare allo stesso un termine, non superiore a novanta giorni, entro il quale provvedervi. La legge consente tuttavia alla parte inadempiente di ottenere un termine di grazia più lungo, di 120 giorni, nel caso in cui l’inquilino dimostri che il mancato pagamento del canone di locazione sia da attribuirsi a difficoltà economiche insorte dopo la conclusione del contratto di locazione e siano connesse a malattia, disoccupazione o gravi e comprovate condizioni di difficoltà.
È bene precisare come tale concessione non sia automatica, ma rappresenti un potere discrezionale dell’organo giudicante.
Al fine di verificare l’esatto adempimento dell’obbligazione da parte del conduttore, il Giudice fissa una nuova udienza, in una data successiva di non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine, nella quale, se viene accertata la persistenza della morosità, in conseguenza del mancato pagamento, lo sfratto viene convalidato e si passa, così, alla fase dell’esecuzione del rilascio dell’immobile.
Supponiamo, invece, che la sanatoria del conduttore sia parziale: in questo caso, il giudice può ritenere non grave l’inadempimento e quindi salvare il contratto? La risposta è NO.
Come affermato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. III, sent. 14.02.2023, n. 4616, con la richiesta di concessione del termine di grazia, infatti, il conduttore manifesta implicitamente una volontà che risulta incompatibile con quella di opporsi alla convalida, cosicché al mancato adempimento, nel termine fissato dal giudice, consegue l’emissione da parte di questi dell’ordinanza di convalida di sfratto, senza che possano assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l’entità del credito vantato dal locatore, sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità.
In tale ultima ipotesi, il giudice non ha infatti il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per sanare la morosità costituisca inadempimento grave, né se il ritardo dipenda dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso per adempiere, perché il Giudice ha soltanto la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore.
Alla luce di quanto precede, appare dunque evidente che, per non subire la convalida dello sfratto, l’inquilino moroso, entro il termine di grazia, sia tenuto a pagare un importo comprensivo non solo di canoni scaduti alla data di ricezione dell’intimazione di sfratto, non solo di quelli successivamente scaduti e degli interessi legali maturati, bensì anche delle spese di giudizio, liquidate dal giudice in udienza a favore del proprietario.
Come ribadito di recente anche dalla Corte di Legittimità, con sent. 24.04.2020, n. 79, il legislatore ha infatti incluso anche le spese processuali nell’importo complessivo perché operi, in favore del conduttore, la speciale sanatoria in sede giudiziale prevista dall’art. 55; ciò nel contesto di un bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti e in considerazione del “sacrificio” richiesto al locatore che non ottiene, alla prima udienza, la convalida dell’intimazione di sfratto, pur persistendo in quel momento la morosità e mancando l’opposizione dell’intimato.
Si tenga quindi conto come solamente il versamento integrale delle somme sopra menzionate, entro il termine perentorio fissato dal Giudice, impedisce l’effettiva convalida dello sfratto e la risoluzione del contratto.
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