Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro e dalla retribuzione

Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro. Si legge ogni giorno nella cronaca: operatori sanitari – medici, infermieri, Oss – sono sospesi o richiamati perché si sono rifiutati di fare il vaccino. Cosa dice la legge?

Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro

La vaccinazione per gli addetti ai lavori, va ricordato, è un obbligo stabilito dal decreto legge n.44, a fine maggio convertito in legge dal Parlamento.

Questa la procedura:

  1. Si segnala chi manca all’appello. Gli ordini professionali e i datori di lavoro presso cui gli operatori sanitari lavorano inviano alla Regione gli elenchi dei lavoratori coinvolti nell’articolo 4, cit., per verificare che siano stati vaccinati. La Regione è tenuta a segnalare chi non risulta vaccinato all’ASL di residenza.
  2. La risposta entro 5 giorni. L’Asl invita il soggetto interessato perché presenti entro 5 giorni una certificazione di avvenuta vaccinazione, di differimento o di richiesta della stessa, o di esenzione (per esempio, donne incinte o soggetti immunodepressi), o di insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale o la richiesta di vaccinazione.
  3. Sospensione o cambio di mansione. Se la richiesta non ha effetto, si dovranno informare l’ordine di appartenenza e il datore di lavoro, e possono scattare provvedimenti quali “…la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.

Insomma, per l’operatore sanitario che rifiuta il vaccino le prospettive professionali sono tutt’altro che rosee

Ora, cosa può fare l’operatore sanitario che non vuole vaccinarsi? Il richiamo sul lavoro, fino al demansionamento o alla sospensione, è legittimo? Si sta commettendo un’ingiustizia oppure tale provvedimento è giustificato? Cosa hanno stabilito le sentenze finora emesse?

Va subito detto che la giurisprudenza non ha una linea univoca perché due sono gli aspetti da tenere in considerazione: da una parte il diritto costituzionale alla propria libertà di autodeterminazione (soprattutto in ambito di trattamenti medici), dall’altra l’altrettanto importante diritto alla salute e la sicurezza sul lavoro, così come stabilito dal Decreto Legislativo 81/2008 (Testo Unico Salute e Sicurezza).

Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro. Vediamo innanzitutto cosa stabilisce il decreto:

L’articolo 4, Decreto Legislativo 1 aprile 2021, n. 44, pattuisce che fino alla completa attuazione del piano vaccinale, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, la vaccinazione anti-Covid costituisca un requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni:

  • Nelle strutture sanitarie
  • Nelle aziende sociosanitarie
  • Nelle strutture socioassistenziali
  • Negli studi professionali
  • Nelle farmacie e nelle parafarmacie

Si può evitare la vaccinazione solo in caso di pericolo per la salute, documentando le proprie condizioni con prove certe. Senza vaccinazione, altrimenti, si sarà sospesi dalle mansioni che comportano rapporti interpersonali, con conseguente sospensione dello stipendio (art. 4, comma 8).

Un punto però bisogna sottolineare: il ruolo centrale delle Regioni nell’individuare i profili sanitari convolti (e non coinvolti) nella legge, e il ruolo altrettanto fondamentale delle ASL (Autorità che per sua stessa natura non è chiamata a funzioni di vigilanza sugli iscritti ad un Ordine), come co-fautrici del provvedimento.

Attenzione però, le attività lavorative classificate come di interesse sanitario o meno, variano da Regione e Regione, e quindi è complicato definire specificamente per ciascuna i confini delle professioni. Non solo: il diverso trattamento normativo di professioni che, con le medesime mansioni, sono giudicate o meno di interesse sanitario, pone anche problemi riguardanti la compatibilità col principio di uguaglianza costituzionale.

Con questo, torniamo al nodo iniziale: possiamo considerare il Decreto compatibile con la nostra Costituzione, e ancora , la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea?

 

Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro: la norma contiene criticità?

Vediamo se l’articolo 4 del d.l. n. 44/2021 contiene criticità rispetto ai diritti costituzionali italiani e internazionali.

Il diritto all’integrità della persona, sancito dall’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede il rispetto del consenso libero e informato della persona, soprattutto ai trattamenti medico – sanitari proposti. Questo significa che non deve essere in alcun modo condizionato o costretto da fattori esterni, diretti o indiretti, fisici o psicologici. Nel caso che stiamo qui esaminando, i fattori esterni possono essere il timore dell’operatore sanitario di essere demansionato, sospeso, di non percepire lo stipendio.

Anche la Costituzione italiana stabilisce in generale il principio fondamentale dell’impossibilità di subire pressioni o costrizioni per quanto riguarda i trattamenti sanitari. Prevede tuttavia la possibilità, in casi eccezionali, di avere deroghe per legge.

Esiste quindi il criterio di necessità, che si concretizza solo quando l’obiettivo non sembra perseguibile in altro modo. Di necessità si può parlare nella prima fase della pandemia, ma sul lungo periodo -attualmente siamo a un anno e mezzo dopo – è giusto che sia ancora applicabile questo criterio?

Vogliamo qui ricordare inoltre quanto ha stabilito nel corso degli anni la Corte costituzionale, sulla legittimità dell’obbligo vaccinale, ed ecco qui sintetizzati i punti principali:

  • Evidenza scientifica. Si deve avere la sufficiente certezza che la vaccinazione svolga il suo ruolo correttamente ossia proteggere il ricevente
  • Sicurezza per chi lo riceve. Il vaccino non deve comportare alcun rischio per la salute di chi lo riceve, sono ammessi solo postumi lievi e di breve durata
  • Immunità sterilizzante. Il vaccino deve essere efficace per evitare il contagio
  • Sistemi di equo indennizzo nei casi del tutto residuali di lesioni apprezzabili

Le nostre Corti dovranno chiedersi se i vaccini attualmente in commercio rispondono a questi requisiti: la risposta non sarà affatto scontata.

Rifiuto del vaccino e sospensione dal lavoro: la questione è assicurare la sicurezza sul lavoro

Se da un lato, come abbiamo visto, il d.l. n. 44/2021 contiene alcuni indubbi punti di criticità, esso dà voce innegabilmente all’esigenza, da parte del datore di lavoro, di assicurare che il posto di lavoro corrisponda ai criteri di salute e sicurezza stabiliti dalla normativa.

Questa è la direzione delle recenti pronunce – Ordinanza n. 12 del 19.03.2021 del Tribunale di Belluno e dell’Ordinanza del 19 maggio 2021 del Tribunale di Modena), che ritengono perlopiù legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dei sanitari non vaccinati, sulla base della normativa in tema di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, che prende le mosse dall’art 20 del Decreto Legislativo 81/2008, il Testo Unico sulla Sicurezza.

Vediamo meglio perché. Il decreto impone ai lavoratori l’obbligo, giuridicamente rilevante, di cura e di sicurezza per tutelare l’integrità psicofisica propria, di chi sta intorno o con cui si entra a contatto. In caso di comportamenti difformi, si può incorrere in sanzioni.

Secondo il Testo Unico anche il datore di lavoro ha il preciso obbligo di assicurare la sicurezza sul posto di lavoro, collaborando con i dipendenti affinché ci sia un luogo di lavoro salubre e sicuro.

Nel caso qui esaminato, il rifiuto della vaccinazione costituisce un venir meno dell’obbligo contrattuale, e rende quindi impossibile la fruizione della prestazione.

 

Domande e risposte

Voglio impugnare il provvedimento di sospensione. Cosa posso fare?

In caso si ritenga opportuno impugnare il provvedimento di sospensione, molti dubbi sorgono in ordine alla giurisdizione da adire: quella del giudice amministrativo (essendo coinvolta la propria ASL di competenza) o quella del giudice ordinario (essendo il provvedimento finale adottato dal proprio datore di lavoro)?

Lo Studio Legale Pedretti di Brescia resta a disposizione per individuare la migliore strategia difensiva, con tutti i chiarimenti del caso.

 

Sono professionista sanitario ma non ho contatti con il pubblico. Posso impugnare la sospensione?

La domanda a cui bisogna rispondere è: quali categorie professionali sono coinvolte? La sospensione ha una valenza discriminatoria e se sì, si può agire legalmente per far valere i propri diritti?

Appare quindi lecito differenziare i soggetti interessati dall’obbligo. Si partirà da una valutazione concreta, che distingua le mansioni a rischio generico da quelle a rischio specifico – o a rischio generico aggravato.

Se quindi si ritenesse di trovarsi in una posizione non assoggettabile all’obbligo, bisognerà presentare per via cartolare le proprie osservazioni all’ASL. Si allegherà in caso tutta la documentazione che dimostra l’assenza di rischio specifico nella propria mansione, oppure dimostrando che si tratta di rischio generico.

 

L’operatore sanitario che rifiuta il vaccino può essere licenziato?

Per rispondere, una premessa è doverosa: ad oggi non c’è alcuna certezza del diritto per tale questione. D’altra parte, l’unico modo per uscire dalla situazione dubbiosa appare quello di un intervento normativo ad hoc, auspicato da molti.

Per ricostruire il quadro della situazione torniamo a esaminare il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro. Tra gli obblighi del datore di lavoro c’è anche la messa a disposizione di vaccini “efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente.”

Il licenziamento peraltro appare una strada legata a una estrema ratio e peraltro poco percorribile, perché, come ha stabilito la Sentenza della Cassazione Civile n. 29289 del 12/11/2019, l’inidoneità alla mansione può portare alla risoluzione del rapporto “soltanto quando realizzi una impossibilità sopravvenuta della prestazione, che deve essere valutata in relazione alla molteplicità dei possibili impieghi a cui il lavoratore può essere adibito in ambito aziendale; grava sul datore di lavoro l’onere di dedurre e provare la mancanza di mansioni confacenti”.

 

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