Avvocato Demansionamento a Brescia. Un rapporto di lavoro subordinato prevede lo svolgimento di compiti ben precisi al servizio di un datore di lavoro. Tali compiti, definiti con il nome di mansioni, sono stabiliti al momento dell’assunzione e regolamentati tramite la stesura di un contratto.
È il Codice Civile stesso a dichiarare che un lavoratore sia tenuto a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto, tuttavia non è raro che venga richiesto di fare altro, o addirittura che le mansioni del lavoratore vengano modificate completamente e non corrispondano più al suo ruolo specifico.
Come si può sapere, allora, quando la modifica delle mansioni può essere considerata lecita, e come comportarsi quando invece non lo è? La legge prevede che il datore di lavoro possa applicare una relativa mobilità operativa ai propri dipendenti, affidando loro alcune mansioni differenti da quelle stabilite originariamente in fase di contratto.
Si tratta in questo caso di una mobilità legittima, che prevede però l’assegnazione di mansioni comunque inerenti all’inquadramento e alla categoria a cui il lavoratore appartiene.
Oppure, nel caso in cui un lavoratore avesse acquisito ulteriori competenze, potrebbe anche vedersi assegnare mansioni corrispondenti a una categoria superiore a quella di assunzione, con relativo avanzamento professionale.
Avvocato Demansionamento a Brescia. Cosa si intende esattamente per demansionamento
Come abbiamo visto, una certa mobilità da una mansione a un’altra è ammessa, quando però si tratta di un demansionamento, ovvero dell’assegnare a un lavoratore mansioni inferiori a quelle della sua categoria, è bene prestare attenzione, poiché potrebbe trattarsi di un comportamento non lecito da parte del datore di lavoro, o addirittura di un caso di mobbing.
Ovviamente, le situazioni sono numerose, e soprattutto sono molto diverse una dall’altra. Infatti, in alcuni casi demansionare un lavoratore significa ledere la sua dignità professionale, magari danneggiare il suo equilibrio psicologico e la sua salute, mentre in altri contesti, al contrario, il demansionamento può essere considerato la soluzione per tutelare il suo posto di lavoro.
Basti pensare, per esempio, a un’azienda che stia attraversando un periodo di crisi economica o si trovi in fase di ristrutturazione, con la necessità di eliminare alcune figure professionali: in una situazione di questo tipo il demansionamento può essere l’unica soluzione per consentire ai dipendenti di conservare il proprio posto.
Ciò significa che, se talvolta il demansionamento può essere consentito dalla legge, anzi, può essere uno strumento che permette di tutelare i dipendenti di un’azienda, altre volte potrebbe costituire un chiaro tentativo di danno e di mobbing.
Infatti, come sappiamo, il mobbing può assumere aspetti diversi, e spesso da parte del datore di lavoro si verificano atteggiamenti che, pur discostandosi da un tipico scenario di mobbing, sono considerati illeciti e compromettono la salute e la stabilità del lavoratore.
Avvocato Demansionamento a Brescia. Quando il demansionamento può essere considerato legittimo
La legge prevede che a un dipendente possano essere assegnate mansioni inferiori alla propria categoria solo in alcune situazioni particolari e a seguito di accordi, premesso che tale variazione non comporti modifiche né di qualifica e inquadramento né di retribuzione.
In genere, i casi in cui il demansionamento può essere legittimo riguardano alcune situazione ben precise:
- La necessità di variare le mansioni dei dipendenti può riferirsi al desiderio di tutelare il loro posto di lavoro in una situazione di ristrutturazione aziendale: in questo caso il demansionamento evita appunto di licenziare i lavoratori;
- Il passaggio a mansioni di grado inferiore può essere anche correlato a un accordo intercorso tra il datore di lavoro e il lavoratore in merito all’acquisizione di una nuova professionalità, che richieda un percorso formativo specifico;
- In altri casi può trattarsi di una necessità del lavoratore stesso, dovuta per esempio a motivi di salute oppure a esigenze personali che richiedano una riduzione dell’impegno lavorativo: in entrambi questi casi è il lavoratore a chiedere di svolgere mansioni più semplici o meno impegnative o più idonee al proprio stato di salute o a eventuali problemi famigliari.
Il demansionamento in questi casi può essere considerato legittimo, ma richiede un preciso accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro, finalizzato a migliorare la situazione di vita del lavoratore, a modificare e implementare la sua professionalità oppure alla conservazione del suo posto di lavoro.
Un altro esempio tipico di demansionamento può riguardare il periodo della gravidanza o, come abbiamo detto, un problema di salute che renda il lavoratore inidoneo a svolgere determinate mansioni. Nel primo caso, si tratta di una situazione temporanea, a cui seguirà il reintegro. Nel secondo caso, il demansionamento è legittimo e consente a un lavoratore che abbia acquisito patologie o disabilità di conservare il proprio posto.
Demansionamento immotivato e comportamenti illegittimi del datore di lavoro
Il lavoratore che abbia subito un demansionamento senza una ragione precisa ha diritto a essere reintegrato immediatamente nella sua posizione originale, cercando dapprima di mediare personalmente, per poi rivolgersi, se necessario, a un giudice del lavoro.
Qualora il demansionamento fosse effettivamente ingiustificato, il datore di lavoro sarà obbligato a ripristinare le mansioni originali del proprio dipendente. Potrebbe essere inoltre condannato a risarcire il dipendente sia per l’eventuale danno economico subito, sia per la perdita di dignità e professionalità.
Ovviamente, il dipendente deve essere in grado di produrre prove attendibili che confermino la situazione di illecito. È importante considerare che il lavoratore ha infatti diritto a essere risarcito anche quando, pur non essendo vittima di vessazioni continue, abbia subito le conseguenze di comportamenti giudicati illegittimi, anche se questi non rientrano in una situazione di mobbing. L’obbligo da parte del datore di lavoro a svolgere mansioni inferiori alla propria qualifica rappresenta uno di questi comportamenti.
Un caso studio. L’azienda deve rispondere in caso di comportamenti illegittimi? La Corte di Cassazione ha dato ragione al lavoratore
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16256 del 2018, ha accolto il ricorso di un lavoratore vittima di angherie del superiore.
Precedentemente lo stesso si era visto negare, prima dal Tribunale e in seguito dalla Corte d’Appello, la sussistenza di comportamenti discriminatori ai suoi danni. Nello specifico, i giudici avevano accertato l’illegittimità di quattro sanzioni disciplinari, respingendo però le domande di risarcimento.
La Cassazione ha invece valutato correttamente l’art. 2087 c.c., essendo questo applicabile non solo nei casi di una condotta vessatoria complessiva, ma anche in presenza di singoli comportamenti illegittimi i quali, anche se isolati. destabilizzano l’equilibrio e la serenità psichica e fisica del lavoratore, dando così luogo alla responsabilità del datore di lavoro.
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