Infortunio sul lavoro: un caso di scuola

L’infortunio sul lavoro è l’evento traumatico, avvenuto per una causa violenta sul posto di lavoro o anche semplicemente in occasione di lavoro, che comporta l’impossibilità di svolgere l’attività lavorativa per più di tre giorni.

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Con questa interessante pronuncia (clicca qui per leggere il testo integrale della sentenza), il Tribunale di Brescia, Sezione Lavoro, affronta un caso di scuola nell’ambito dell’infortunistica giuslavoristica, dovendo esaminare le diverse questioni che spesso si presentano in tale campo (responsabilità del datore di lavoro, eventuale concorso di colpa del lavoratore, quantificazione del danno all’integrità psico – fisica e del danno patrimoniale derivante dalla perdita di capacità specifica al lavoro).

L’accertamento della responsabilità del datore di lavoro

Innanzitutto il Giudice doveva accertare la responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’infortunio e l’eventuale corresponsabilità del lavoratore nella produzione dello stesso.

A tal proposito, osserva il Tribunale, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 cod. civ., al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente, non potendo il datore medesimo essere totalmente esonerato da responsabilità in forza dell’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta di quest’ultimo, in quanto del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento (così Cass., Sez. Lav., 17.02.2009, n. 3786).

Il caso di specie

Nel caso di specie, secondo il Tribunale, mentre il lavoratore ha soddisfatto l’onere probatorio posto a suo carico, il datore di lavoro non ha in alcun modo dimostrato il concorso di colpa del dipendente, o l’imputabilità dell’evento infortunistico ad una condotta imprevedibile o abnorme dello stesso; né ha assolto all’onere di provare di aver adottato tutte le misure e le cautele necessarie per prevenire ed evitare i rischi connessi alle attività lavorativa. A tal proposito, osserva il Giudice, sussiste corresponsabilità del lavoratore soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere; in assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto.

La quantificazione del danno subito dal lavoratore

Accertata la responsabilità del datore di lavoro, la pronuncia qui in commento fornisce alcuni spunti assai interessanti anche in punto di quantificazione del risarcimento del danno conseguente all’infortunio. In particolare, ai fini della valutazione del danno biologico, veniva disposta CTU medico-legale a cui, peraltro, il Giudice ritiene di non aderire compiutamente. A fronte, infatti, delle precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte ricorrente (ossia del lavoratore infortunato) alle risultanze peritali, il Giudice, precisando che per pacifica giurisprudenza rientra nel suo potere discrezionale disattendere le conclusioni della CTU, senza dover disporre un’ulteriore perizia purché disponga di elementi adeguati ad acconto della decisione, aderiva alle conclusioni dell’esperto di parte ricorrente, che quantificava il danno biologico in 40 punti percentuali (a fronte dei 32 proposti dal CTU).

Il danno patrimoniale per la perdita di capacità lavorativa specifica

Assai interessanti le considerazioni del Giudice anche con riferimento all’accertamento e alla quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Nel caso di spedite il lavoratore ha dimostrato di aver subito un’effettiva contrazione del proprio reddito a seguito dell’infortunio: è stato licenziato in quanto ritenuto inidoneo a qualsiasi mansione di operaio edile all’interno dell’azienda datrice di lavoro, è ancora disoccupato all’esito del giudizio e ha provato che la ricerca di nuovo lavoro per ora è risultata infruttuosa. Al fine di procedere alla liquidazione in capitale di siffatto danno, il Giudice osserva come, a tale riguardo, la Suprema Corte ha statuito che i coefficienti di capitalizzazione approvati con Regio Decreto 09/10/1922, n. 1403 – risultando calcolati sulla base delle tavole di mortalità ricavate dal censimento della popolazione italiana del 1911 e presupponendo una produttività del denaro assaggio del 4,5% – non consentono l’integrale ristoro del danno prescritto dall’art. 1223 cod. civ., a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, sicché la loro adozione non è consentita nemmeno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.

In questo quadro, ricorda il Giudice, la Corte di Cassazione ha chiarito che il Giudice del merito resta libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché aggiornati scientificamente. Potranno a tal fine essere adottati coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti normativi vigenti per la ricapitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, come pure coefficienti elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano: a mero titolo indicativo, quelli diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli atti dell’incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1 luglio 1989 (Cass., 14.10.2015, n. 20615).

Ed è proprio a tali lavori che, nel caso di specie, il Giudice rimanda per individuare i coefficienti di capitalizzazione da utilizzare, facendo seguito ad altre pronunce che ad essi si erano rifatte.

Se hai altri dubbi o domande da rivolgere a un avvocato del lavoro a Brescia, contattaci senza impegno: saremo lieti di rispondere alle tue domande inerenti infortuni sul lavoro, mobbing e ogni altra questione relativa al lavoro subordinato.

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